di Massimo Spread

L’aumento? Te lo paghiamo in tempo libero. Sembra questa l’ultima moda tra gli imprenditori italiani, alla ricerca di un sistema a costo zero per rispondere alle richieste di adeguamenti salariali dei lavoratori dipendenti dissanguati dall’inflazione.

Dato che i tempi sono quelli che sono, che c’è la crisi, il caro energia, le materie prime introvabili, i cinesi che hanno ripreso a esportare, gli americani che fanno concorrenza sleale con i sussidi, moltissime aziende hanno preso a proporre ai loro dipendenti varie forme di settimana corta, con il weekend che comincia il giovedì sera o al massimo all’ora di pranzo del venerdì.

Tu prometti di farti un’oretta di straordinario il resto della settimana e in cambio hai tre giorni a settimana di spiaggia, casa in campagna, gitarella fuori porta o semplice divano. La tendenza, partita in sordina già da qualche mese, è diventata così onnipresente nel dibattito pubblico che il governo ha deciso di intervenire, anche se per ora in punta di piedi.

È notizia di oggi che il presidente della commissione Lavoro di Montecitorio Walter Rizzetto (in quota Fratelli d’Italia) ha ordinato un’indagine conoscitiva da chiudere per la fine dell’estate, per valutare poi se intervenire a livello legislativo con qualche strumento che possa aiutare a regolare il fenomeno.

Pure i sindacati si sono mossi, con suggerimenti che di sicuro arricchiscono il dibattito ma rischiano pure di confondere: la Cisl ha fatto finora la proposta più concreta, chiedendo di raggiungere la diminuzione di un quinto del normale orario di lavoro, che però non andrebbe necessariamente tradotto in un venerdì a casa per tutti ma in maggiore flessibilità o tempo addizionale da dedicare alla formazione retribuita (ma viene da domandarsi quanti lavoratori sarebbero d’accordo). Cgil e Uil hanno invece cercato di inserire nel discorso un aumento degli occupati, in teoria sensato visto che con la settimana corta si “liberano” ore lavorative, ma i due sindacati sembrano non aver colto che l’interesse degli imprenditori è spendere di meno e limitare gli investimenti in forza lavoro, non certo il contrario.

Per ora gli esperimenti procedono a macchia d’olio, coinvolgendo aziende medio grandi del Nord Est e veri e propri giganti come Intesa SanPaolo, che è partita già a gennaio chiedendo ai suoi dipendenti, in cambio di un giorno libero in più, di fare un po’ di straordinario nel resto della settimana. Le prime reazioni parlano di lavoratori entusiasti per la novità, che a onor del vero proprio nuova non è; di settimana corta si parla da anni in Italia e in Europa; la Francia aveva persino provato a regolarla per via legislativa, ma forse i tempi non erano maturi. Le vecchie generazioni di lavoratori – i boomer e la Generazione X, per capirci – hanno sempre privilegiato il guadagno, e difficilmente avrebbero scambiato un mancato aumento di stipendio con un aumento delle ore libere. Ma i più giovani, ovvero i Millennial e soprattutto la Generazione Z, sono molto più attenti alla conciliazione tra lavoro e vita privata e probabilmente accetteranno di buon grado uno stipendio fermo – o meglio di fatto diminuito, visto l’aumento del costo della vita – in cambio di tempo per sé. Chiamatela, se volete, decrescita felice.

Fonte:

Di BasNews

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