di Aldo Di Lello

Il dossier dell’intelligence americana sui soldi russi ai partiti di altri Paesi diffuso a pochi giorni dalle elezioni in Italia si presta a diverse chiavi di lettura. La prima, la più immediata fa pensare a una sorta di avvertimento: gli Usa ci ricordano che, comunque vada il 25 settembre, il futuro governo dovrà fare i conti con Washington.

Questa interpretazione è suffragata dalle allusioni ai partiti di centrodestra in vario modo comparse sulla stampa italiana. Nonostante le rassicurazioni di FdI, è probabile che l’amministrazione Biden non si fidi completamente della lealtà atlantica della prossima maggioranza. Il riferimento è ovviamente alle posizioni assunte in questi mesi da Salvini in tema di invio di armi all’Ucraina e di sanzioni alla Russia. Ma è possibile che gli americani siano in qualche modo preoccupati anche dal “cripto-putinismo” che può percorrere vari ambienti della Lega, di Forza Italia e degli stessi Fratelli d’Italia.

Non che Washington tema strappi in politica estera, ma il Dipartimento di Stato vuole essere probabilmente sicuro che dalla nuova compagine governativa italiana non arrivino prese di posizione, diciamo così, “stravaganti”. Iniziative magari isolate e dettate dalla semplice voglia di protagonismo, ma tali da fornite argomenti alla propaganda russa nell’insinuare dubbi sulla compattezza del fronte occidentale. E sappiamo bene come la guerra in corso in Ucraina si giochi in modo particolare anche sul fronte dell’informazione e dell’opinione pubblica. È come se gli Usa dicessero ai prossimi, probabili, governanti dell’Italia: «Attenti a come vi muovete, perché la nostra intelligence vi può sputtanare in qualsiasi momento».

Comunque la vogliamo vedere, rimane però, al fondo, la sgradevole sensazione di una mancanza di riguardo verso l’Italia e verso la sua democrazia. Far filtrare indiscrezioni a pochi giorni da un’elezione politica è una scorrettezza grave, un atto che un Paese non dovrebbe mai compiere ai danni di un Paese alleato, ancorché considerato, purtroppo, alleato non di primissimo rango.

Se fosse accaduto altrove, magari in Francia o in Gran Bretagna, avremmo assistito a una sollevazione dell’intero mondo politico a difesa della dignità nazionale ferita. In Italia no. In Italia c’è sempre chi invoca il “re straniero” per risolvere i contrasti tra i vari principati e signorie. L’annuncio del dossier non ha fatto altro che rinfocolare la rivalità tra partiti.

Ma questa, amara, considerazione introduce a un altro, ben più amaro, piano di lettura: la democrazia italiana è, per gli Usa, una democrazia sotto tutela. Peggio ancora: una democrazia eterodiretta.

Lo sapevamo già, certo. Ma il sistema mediatico e l’establishment si adoperano costantemente (e febbrilmente) per farcelo dimenticare. Ogni tanto, sulla scena,  irrompe qualcuno a ricordarci questa triste verità, ma viene subito minimizzato, ridicolizzato, tacitato. E poi dimenticato.

Però ci sono fatti che non possono essere dimenticati tanto facilmente. E che fatalmente riemergono ogni volta che spunta qualche manina (o manona) americana a condizionare i fatti di casa nostra.

Uno di questi fatti “indimenticabili” è il “Cablagate” scoppiato una decina di anni fa a seguito delle rivelazioni di Julian Assange e WikiLeaks sull’attività dei diplomatici americani nel mondo. Vennero pubblicati a puntate decine di migliaia di cablo diretti al Dipartimento di Stato, tutti messaggi riservati che svelavano imbarazzanti casi di ingerenza negli affari di vari Paesi.

Molte di queste rivelazioni riguardavano l’Italia e ne uscì il quadro desolante di un Paese trattato alla stregua di colonia. «L’Italia rivelata dai cablo –scrive Stefania Maurizi – era una democrazia dal guinzaglio molto corto, dove i politici subivano grandi pressioni: dalla guerra in Afghanistan al nostro cibo, che ci rende famosi nel mondo, gli Stati Uniti intervenivano massicciamente sulle faccende italiane. A far emergere le pressioni stavolta non erano libri o articoli antiamericani e neanche il j’accuse ideologico di intellettuali o attivisti: erano i diplomatici statunitensi stessi. Le avevano raccontate, nero su bianco, nelle loro corrispondenze ufficiali con il Dipartimento di Sato. I 4189 cablo sull’Italia e sul Vaticano ne fornivano la prova» (“Il potere segreto – Perché vogliono distruggere Julian Assange e VikiLeaks”, Chiarelettere, 2021).

Guido Crosetto ha chiesto i nomi di chi ha eventualmente preso i soldi di Mosca. «È alto tradimento». Giusto. Ma un tradimento altrettanto grave è accettare senza fiatare le pressioni americane sulla democrazia italiana.

Fonte:

Di BasNews

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