di Aldo Di Lello

Ha fatto un brutto intervento, nel dibattito sulla fiducia in Senato, Roberto Scarpinato (M5S) che ha riciclato le tossine della guerra civile nell’Italia del 2022.

È triste dover constatare che la polemica politica ancora si nutra, non per beceri attivisti ma per austeri parlamentari, di fantasmi storici. E che ancora, per tale via, qualcuno tenda alla delegittimazione dell’avversario.

Il senatore pentastellato, ex magistrato palermitano, mette in dubbio il profilo democratico di Giorgia Meloni richiamando le radici missine di FdI. Scarpinato accusa infatti il partito della premier di aver «eletto a figure di riferimento alcuni personaggi che sono stati protagonisti del neofascismo». Scarpinato fa un richiamo esplicito a Pino Rauti, lanciandogli la pesantissima accusa di aver elaborato idee che poi avrebbero ispirato gente come Franco Freda, Giovanni Ventura e altri figuri coinvolti nell’atroce stagione dello stragismo.

E non finisce qua, perché l’ex-pm trova pure il modo di gettare sospetto sull’idea di realizzare una repubblica presidenziale, un tipo di riforma che potrebbe rappresentare, a suo giudizio, un «comodo espediente per una torsione autoritaria», tale da realizzare il vecchio «sogno neofascista dell’uomo solo al comando». E la riconciliazione nazionale? Ci sarà solo quando, dice Scarpinato rivolto a Meloni,  «verranno esclusi dal vostro pantheon taluni personaggi». Insomma, FdI recida le sue radici storico-ideali e poi, per lor signori, se ne potrà riparlare.

Non sappiamo quanto seguito abbia l’ex magistrato presso il M5S, anche se da quei banchi sono venuti molti applausi. E vale anche la pena notare che tutti quelli che gli erano seduti vicini ammiccavano compiaciuti nei passaggi più incendiari del suo intervento.

A suscitare sgomento è la percezione che le tossine della guerra civile a “bassa intensità” degli anni Settanta siano ancora in circolo, anche se a riciclarle è un ex-magistrato ormai anziano. A destare preoccupazione è soprattutto il sospetto che personaggi come Scarpinato, unitamente a tutti i vip che hanno cominciato subito ad attaccare a testa bassa il/la presidente del Consiglio, siano solo la punta emersa di un iceberg, inopinatamente diffuso, fatto di intolleranza, ideologismo, oltranzismo, una forma di rancore politico capace ancora di esprimere potenti sentimenti di inimicizia tra italiani.

L’ex pm potrebbe certo essere considerato un caso limite, avendo in passato raggiunto, con la sua azione, una delle punte estreme dell’ideologismo politico-giudiziario in Italia (fu pubblico ministero nel temerario processo per mafia intentato contro Giulio Andreotti). Ma poi, se guardiamo ai tanti altri casi di intolleranza e fanatismo di questi giorni, compreso il tentativo di un collettivo di sinistra di impedire un convegno di studenti di destra alla Sapienza, se consideriamo tutto ciò, viene spontaneo pensare che i veleni sprigionati dalla lunga guerra civile italiana siano ancora attivi, pur sotto la coltre del buonismo oggi prevalente e della proclamazione, da anni, della necessità di affermare valori condivisi in tutto l’arco politico italiano.

Il timore più forte e immediato è che questa diffusa pulsione all’inimicizia porti ancora a incendiare le piazze, anche se non più come tanti anni fa. Ed è bene in ogni caso considerare l’allarme venuto proprio ieri dal nuovo ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, il quale ha parlato di «professionisti della sommossa che stanno provando a organizzarsi».  In un momento di tensioni sociali in crescita le vecchie tossine della guerra civile potrebbero ulteriormente complicare un quadro già di per sé problematico.

Ma al di là delle preoccupazioni per l’ordine pubblico, c’è una domanda più profonda che l’incendiario intervento di Scarpinato ripropone inesorabilmente: perché, ancor oggi, la storia continua a essere utilizzata come clava del confronto politico.

Non è una domanda da poco. E non ce la possiamo cavare solo con il riferimento alla particolarità della nostra storia e con la considerazione che lo spirito di fazione è quasi un tratto antropologico del nostro popolo.

C’è in realtà qualcosa di più grave, di più inquietante e di più specifico, qualcosa che ci riguarda tutti. Mi riferisco al fatto che la vicenda italiana è stata punteggiata, dal secondo dopoguerra fino almeno agli anni Novanta, da troppi fatti oscuri e sanguinosi – trame, stragi, depistaggi, diffuse complicità tra parti di istituzioni e criminalità – su cui non è mai stata fatta piena luce, rimanendo ancora nell’ombra i poteri che, quei fatti, hanno determinato. Tanti sono gli omissis, tanti i dossier rimasti nel cassetto.

Dalla copiosa letteratura che s’è sviluppata nel tempo su quei decenni di sangue e di complotti è possibile, non tanto e non solo, farsi un’idea su “chi” ha mosso i fili della destabilizzazione, quanto sul “perché” quei fili sono stati, per lungo tempo, mossi. Questo “perché” richiama la sovranità limitata dell’Italia, vale a dire l’interesse di centri di potere posti al di là dei nostri confini a tenere il nostro Paese sotto scacco, frustrando  gli forzi venuti, nei decenni,  dalla parte migliore della classe dirigente nazionale  per affrancarci dalla nostra condizione di minorità e di tornare, per quanto condizioni internazionali e limiti strutturali ce lo potessero permettere, a essere protagonisti del nostro futuro. Tanto per dirne una, proprio in questi giorni abbiamo ricordato il sessantesimo anniversario della morte di Enrico Mattei, fondatore dell’Eni e campione della sovranità energetica italiana. Abbiamo ricordato, non solo la sua figura, ma anche i tentativi messi subito in atto per depistare le indagini sull’ “incidente” in cui perse la vita e per impedire che emergesse la verità che non si trattò affatto di un incidente bensì di un vero e proprio attentato.

E il caso Mattei non è che uno dei numerosissimi momenti inquietanti della nostra storia recente. «In tanti – scrive lo storico Miguel Gotor nel recente libro “Generazione Settanta” – si impegnarono in quegli anni a mantenere l’Italia in una posizione subalterna».

Sappiamo, intuiamo, ricostruiamo. Ma la verità, la verità completa, la verità “indicibile” a cui abbiamo diritto come popolo è ancora coperta da troppi omissis, segreti di Stato, cortine fumogene, mistificazioni varie. Questa verità negata è una delle prime cause, e nello stesso tempo uno dei primi sintomi, della nostra sovranità limitata.

Ecco perché, ancora nel 2022, può risuonare nell’aula del Senato l’evocazione di vecchi fantasmi. Le tossine della guerra civile si sprigionano principalmente da qui, da questa mancata pacificazione degli italiani con la loro storia.

Fonte:

Di BasNews

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