Si sapeva tutto. Si conoscono perfettamente tutte le zone a rischio frane, alluvioni e allagamenti. Si conoscono tutti i punti deboli. Si sa dove e come intervenire¹.

In Italia il 18,4% (55.609 km2) del territorio nazionale è classificato a pericolosità frane elevata, molto elevata e/o a pericolosità idraulica media.Complessivamente il 93,9% dei comuni italiani (7.423) è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera.

1,3 milioni di abitanti sono a rischio frane e 6,8 milioni di abitanti a rischio alluvioni. Le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio frane e alluvioni sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia, e Liguria.

Le famiglie a rischio sono quasi 548.000 per frane e oltre 2,9 milioni per alluvioni. Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 565.000 (3,9%), quelli ubicati in aree inondabili nello scenario medio sono oltre 1,5 milioni (10,7%).

Le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 84.000 con 220.000 addetti esposti a rischio; quelli esposti al pericolo di inondazione nello scenario medio sono oltre 640.000 (13,4% del totale).

Degli oltre 213.000 beni architettonici, monumentali e archeologici, quelli potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono oltre 12.500 nelle aree a pericolosità elevata e molto elevata; raggiungono complessivamente le 38.000 unità se si considerano anche quelli ubicati in aree a minore pericolosità.

I Beni Culturali a rischio alluvioni sono quasi 34.000 nello scenario a pericolosità media e raggiungono quasi i 50.000 in quello a scarsa probabilità di accadimento o relativo a eventi estremi 7.423 comuni (93,9% del totale) a rischio per frane e/o alluvioni, il 18,4% del territorio nazionale classificato a maggiore pericolosità per frane e alluvioni, 1,3 milioni di abitanti a rischio frane e 6,8 milioni di abitanti a rischio alluvioni.

Si sapeva tutto: dove sono i problemi e come risolverli. Ma è stato fatto. Perché?

Per una lunga serie di motivi uniti da una sottile linea rossa.

Stando ai dati del Rendis², la stima del costo per la messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale è di almeno 33,17 miliardi di euro. Almeno perché la stima si basa sui progetti di messa in sicurezza già presentati (ovviamente per la grande maggioranza non finanziati), ma che non rappresentano ovviamente la totalità degli interventi che servirebbero. Le stime del Ministero dell’Agricoltura parlano di circa 40 miliardi di euro necessari per la messa in sicurezza del territorio nazionale.

Dei progetti per 33,17 miliardi già presenti nel database Rendis, ne sono stati finanziati per appena 6,59 miliardi. Restano in attesa di finanziamento 7.811 proposte progettuali per un importo complessivo pari a 26,58 miliardi.

Perché?

Innanzitutto vale la pena ricordare il clamoroso taglio degli investimenti pubblici degli ultimi anni.

Tra il 2009 e il 2019 gli investimenti pubblici sono passati da 63,1 miliardi di euro a 40,5. Un taglio del 30,1%. Negli anni eccezionali (da tutti i punti di vista…) della scellerata gestione del Covid, gli investimenti sono tornati a salire (sostanzialmente per la temporanea sospensione del Patto di stabilità e per l’altrettanto temporaneo intervento della BCE sul mercato dei Titoli di Stato), ma ancora oggi il livello rispetto al 2009 è più basso del 21,4%³.

Si tratta di 255,1 miliardi di euro di investimenti in meno dal 2009 a oggi, una media di quasi 20 miliardi l’anno.

Non solo. Anche quei pochi fondi che sono stati messi a disposizione per la messa in sicurezza del territorio non sono stati praticamente spesi. Si tratta di circa una decina di miliardi negli ultimi 10 anni.

Non sono stati spesi perché sia a livello centrale che a livello locale, spesso le amministrazioni sono prive delle figure necessarie per progettare e realizzare gli interventi necessari. Sono i risultati di decenni di taglio della spesa pubblica che non ha riguardato solo gli investimenti ma anche la spesa corrente. Cioè sostanzialmente il numero di dipendenti pubblici.

L’Italia ha realizzato 26 anni di avanzi primari negli ultimi 30, cioè dell’ingresso nell’Unione Europea. Si tratta di quasi 1.000 miliardi di euro di tagli alla spesa pubblica. L’Italia è il Paese col più basso rapporto d’Europa tra dipendenti pubblici e popolazione (meno del 6%). Non solo, grazie al blocco del turn over abbiamo anche i dipendenti con l’età media più alta d’Europa (quasi la metà hanno più di 55 anni)?. Un doppio primato negativo.

A livello comunale non va meglio, anzi. Il personale è stato ridotto di un terzo negli ultimi quindici anni passando da 480.000 lavoratori del 2007 ai 315.000 del 2021?. Senza contare che con la spada di Damocle del Patto di (in)stabilità e (de)crescita gli amministratori Comunali sono stati ridotti al rango di curatori fallimentari bloccando anche le poche capacità di spesa di cui ancora dispongono.

Ma non basta.

Ci sono poi le continue liti tra Stato e Regioni per l’attribuzione delle rispettive competenze. Un regalo della riforma del titolo V della Costituzione?. Dal 2001, infatti, anno della riforma che ha rivisto le competenze tra Centro e periferia, sono stati 2.256 i ricorsi alla Corte costituzionale, promossi da uno dei due contendenti. Una mole di ricorsi che impegna metà del lavoro e del tempo dei giudici della Corte: circa il 45% delle sentenze dal 2001 a oggi ha riguardato, appunto, il contenzioso Stato-Regioni.

Riassumendo: è stata tagliata sia la spesa per investimenti (impedendo di finanziare la stragrande maggioranza gli interventi necessari), sia quella corrente (riducendo drammaticamente gli organici delle amministrazioni pubbliche); i pochi fondi stanziati sono stati comunque spesi in minima parte sia per la carenza di personale specializzato nella scrittura e realizzazione dei progetti, sia per i limiti di spesa a cui gli enti locali sono sottoposti grazie al patto di Stabilità, sia per l’aumento delle liti tra amministrazione centrale e amministrazioni periferiche dovute alla riforma del titolo V.

Il filo rosso che unisce tutte queste cose è una classe politica, quella italiana, composta prevalentemente da quinte colonne e pavidi servi succubi del vincolo esterno.

FONTI:

¹ https://www.isprambiente.gov.it/files2022/pubblicazioni/rapporti/rapporto_dissesto_idrogeologico_italia_ispra_356_2021_finale_web.pdf

² https://www.isprambiente.gov.it/files2020/pubblicazioni/rapporti/rendis-2020.pdf

³ http://dati.istat.it/Index.aspx?QueryId=18249#

? https://www.istat.it/it/archivio/271806

? https://www.fondazioneifel.it/ifelinforma-news/item/download/5876_f5e6fcd47f1690748a2b3e5ec18c49fb

? https://www.ilsole24ore.com/art/liti-continue-stato-regioni-consulta-2200-ricorsi-AEA2SPkC

Gilberto Trombetta

fonte:

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-storia_di_una_tragedia_annunciata/32703_49709/

Di BasNews

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