Le nuove linee guida ministeriali sulla performance ben presto le ritroveremo recepite, acriticamente, all’interno dei contratti nazionali del comparto pubblico, le direttive del Ministro Zangrillo non sono certo un fulmine a ciel sereno e una riforma della performance era da tempo nell’aria.

Ma non si capisce cosa rappresenti la performance senza prima analizzare la sub cultura della meritocrazia che dalla valutazione con i classici voti accordati dai dirigenti si indirizzerà verso un sistema manageriale ed imprenditoriale da applicare in tutta la PA.

Si vuole superare la valutazione gerarchica in nome della sostenibilità dell’intero sistema,  promuovere la leadership e la formazione  per costruire un rinnovato sistema di controllo costruito sulla promessa che anche il singolo dipendente potrà contare qualcosa nella gestione della macchina amministrativa quando invece il suo ruolo è sempre più subalterno alle logiche meritocratiche, di accrescimento della produttività e con  distribuzione diseguale del salario accessorio.

Nella Pubblica amministrazione esiste da sempre una forte sperequazione tra comparti, un dipendente dei Ministeri  in taluni casi può beneficiare di indennità che accrescono lo stipendio base del 60 % , eppure non esiste alcuna volontà di uniformare il trattamento economico riservato a tutti i dipendenti pubblici adeguandosi a livelli più alti che poi sarebbero in linea con i salari europei.

Rafforzare il potere di acquisto dei salari potenziandone la parte normata dai contratti nazionali dovrebbe essere un obiettivo condiviso dai sindacati che invece preferiscono demandare innumerevoli istituti alla contrattazione decentrata (di secondo livello), si pensa insomma a nuove forme di premialità che graveranno sul fondo della produttività generale, premi a pochi insomma con i soldi di tutti.

E in futuro ci saranno Enti nei quali le premialità saranno possibili ed in altri no visto il criterio della  «sostenibilità amministrativa, gestionale ed economica dei sistemi». E pensiamo alla autonomia differenziata, una volta messa in pratica, non sarà premessa per istituire le gabbie salariali con crescenti disparità anche a livello geografico?

Abbiamo sempre sostenuto, come sindacati di base, che una quattordicesima mensilità nel Pubblico impiego avrebbe portato benefici maggiori in termini stipendiali e previdenziali di quel fondo della produttività sul quale gravano istituti contrattuali dei quali beneficiano in parti diseguali i dipendenti con crescenti sperequazioni per altro “autorizzate”  dagli stessi contratti nazionali vigenti.

ll coinvolgimento  nella valutazione di più soggetti, interni ed esterni, finirà con il far dipendere la distribuzione di salario accessorio dai voti accordati da cittadini e associazioni, ossia da quanti non hanno conoscenze della macchina gestionale ma potranno esprimere valutazioni sovente pilotate dall’alto e caratterizzate da posizioni umorali determinando in questo modo anche la distribuzione del salario accessorio in base al cosiddetto merito.

Ora non saremo certo noi a escludere la partecipazione collettiva al buon andamento della Pubblica amministrazione, se cosi’ fosse il Governo dovrebbe reinternalizzare i servizi sanitari visto che è opinione diffusa che siano proprio le strutture pubbliche a beneficiare della fiducia dei cittadini assai perplessi invece sul privato.

E’ quindi evidente che coinvolgere il cittadino nei processi valutativi potrebbe essere occasione per quel populismo becero che vuole spingere il cittadino a esprimere posizioni suggerite dall’alto, magari attraverso campagne mediatiche.

E non dimentichiamo un altro aspetto taciuto ossia l’atavico sospetto degli amministratori verso i dipendenti dei servizi da loro amministrati, giudicati poco produttivi e incapaci di dare lustro alle attività di qualche Giunta magnificandone gli obiettivi di mandato. .

Il personale della Pa non è responsabile dei disservizi al cittadino, basti pensare che la semplice esternazione di un mero punto di vista su come vengono gestiti i servizi potrebbe scaturire in procedimenti disciplinari. E’ accaduto nei tempi pandemici, la semplice denuncia  pubblica di disservizi, dei dispositivi di protezione individuali carenti o mancanti negli ospedali è stata occasione per mettere alla gogna lavoratori scomodi e delegati sindacali imputandole di avere violato i doveri imposti dai codici di comportamento.

La cultura meritocratica per sopravvivere necessita di rinnovarsi per assumere connotati non democratici ma populisti facendo credere al  cittadino o  al singolo dipendente di avere voce in capitolo su processi decisionali dai quali viene invece escluso o perfino schiacciato .

Un modello organizzativo e gestionale che mette insieme il populismo becero di chi ha affossato i servizi pubblici presentandosi alla occorrenza con sembianze pseudo democratiche insieme a modelli tipicamente manageriali con l’ avvento della leadership, con queste parole potremmo sintetizzare le nuove linee guida ministeriali in materia di valutazione.

Come si tradurrà in sostanza il ” riconoscimento della capacità d’agire delle persone, l’assunzione di responsabilità, la costruzione del team ad alte performance, la capacità di rappresentare un modello di integrità ed etica professionale”?

Tale valutazione, tra l’altro, dovrebbe avvenire preferibilmente mediante l’individuazione di «comportamenti osservabili», anche per garantire una tendenziale oggettività alla considerazione di elementi che presentano una indubbia soggettività. Ma quali sarebbero i comportamenti osservabili? Ovviamente non viene fornita spiegazione alcuna.

Viene strombazzato ai quattro venti il concetto di soft kill  che poi si riferisce a non meglio definite competenze legate all’intelligenza emotiva e alle abilità naturali dei singoli

Quanto poi alle cosiddette premialità non economiche pensiamo a un vecchio modello aziendale di fantozziana memoria che potrebbe portare alla nomina del dipendente del mese o dell’anno e a forme di ipocrita gratificazione destinate ad accrescere carichi di lavoro e produttività a costo zero annullando ogni distinzione tra tempi di vita e tempi di lavoro, un po’ come accadde, fin dalla pandemia, con lo smart working

Federico Giusti

fonte:

Di BasNews

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