di Carmen Piccirillo

La nostalgia si caratterizza come un sentimento che si avvicina al “rimpianto” malinconico nei confronti del passato, attraverso il ricordo di ciò che non c’è più.

E’ un sentimento che può arrecare tristezza ma non solo, perché nel contempo ci porta a guardare il passato con gioia e il futuro con speranza.

Il senso di tristezza, intrinseco nella nostalgia, deriva dalla percezione che qualcosa di prezioso che abbiamo amato sia “sfuggito”: eppure, la memoria è radicata profondamente dentro di noi, in maniera immateriale, seppur apparentemente assente nella realtà in cui viviamo.

E’ di notevole importanza non dimenticare il passato, le proprie radici, gli usi e i costumi del proprio territorio. Dare testimonianza delle proprie esperienze passate, per raccontare ai propri figli e alle generazioni future chi siamo stati, da dove proveniamo, provoca l’inestimabile bellezza di mantenere vivo il ricordo emozionante di ciò che era.

Primo Levi, chimico, partigiano, scrittore, autore di saggi, memorie e poesie sosteneva: “Senza memoria non c’è futuro”.

A tal proposito, vogliamo focalizzandoci sul passato della città di Rionero in Vulture (Arrenèure in dialetto rionerese).

Per approfondire ampiamente la storia del passato del nostro paese e, inevitabilmente, valorizzare il presente e ricordarsi del futuro, è costruttivo discutere con chi, con passione e costanza, si è dedicato per anni a ricerche approfondite in archivi pubblici e privati (compresi quelli ecclesiastici).

E’ il caso del professor Leo Vitale, attento studioso di Storia Locale ed ex docente di Letteratura Italiana e Storia nell’Istituto Magistrale Statale “Giustino Fortunato” di Rionero in Vulture, che abbiamo incontrato per un’intervista.

Professore, cosa è per Lei la nostalgia?

Nostalgia. Non è sofferenza, rimpianto di un vissuto; è gradevole riandare indietro nel tempo, soprattutto per restituirmi le persone care che non ci sono più.’ E’ un ricordare i valori che hanno dato e danno un senso alla mia vita: “è il passato che dà senso al presente”, ha scritto uno studioso di psicologia.

Quali sono, secondo lei, le tradizioni rioneresi più belle da ricordare?

Da persona piuttosto riservata, dico che la tradizione non è semplice trasmissione di usi e consuetudini, pur consapevole dei continui mutamenti, ma è memoria di credenze e costumi che hanno fatto avvertire l’unità e l’armonia del vivere insieme, per un sano godimento, e che possono ancora ripetersi: la vita familiare nei periodi di Natale e di Pasqua, il carnevale, le processioni.

Lei ha prodotto studi e ricerche di spessore culturale sia nella storia sociale ed economica, sia in quella religiosa di Rionero. Cosa rimpiange del passato e quali pensa che siano stati i progressi più importanti che la nostra città ha raggiunto?

Non rimpiango nulla del passato, sono grato a quanti mi hanno aiutato a formarmi per essere quello che sono con profondi valori spirituali, civili e culturali. Rionero è molto trasformata rispetto al passato, ma soltanto sotto l’aspetto urbanistico: si è estesa la dimensione abitativa, ma non si curano le strutture “storiche”, memoria del passato. Si è ammodernata nella vita economica e sociale con i negozi, ma poco in cultura e professionalità, forse a causa dell’emigrazione forzata dei giovani, costretti a studiare e a lavorare altrove.

Le sue pubblicazioni sono state svariate. Ha evidenziato più volte, nei suoi libri, l’importanza della cultura popolare, come per esempio i dialetti. Ci parli del libro “Dizionario di un dialetto rionerese”.

Il mio “Dizionario di un dialetto rionerese” è conseguenza dei miei studi classici. Le parole dialettali che ascoltavo mi hanno sempre incuriosito e quasi indotto a cercarne il significato e l’etimologia, facendomi scoprire che ogni dialetto nel suo insieme riflette la storia di un popolo. Di qui, mi è sorta l’esigenza di raccogliere quanti più termini possibili per salvaguardare un prezioso patrimonio, essendo ogni dizionario “un sommario di storia civile”. Il nostro dialetto è nato con le lingue romanze, quando ormai il latino classico era scomparso, e ha risentito delle parlate dei vari popoli che hanno dominato la successione nell’Italia meridionale. Il vocabolario rionerese è essenzialmente agricolo ed artigiano, fatto solo di concretezza, sicché voci del linguaggio giuridico, amministrativo, scientifico, filosofico ecc. si riducono ad un numero sparuto. Poiché il dialetto è stato ed è pur sempre un mezzo di comunicazione verbale, ricco di una propria ed originale espressività, sono stati citati frasi e detti comuni, esempi e notizie “folcloriche”, molti termini ormai scomparsi dalla vita quotidiana, che nulla più dicono alle nuove generazioni. Si pensi a parole come tàt’, camàstr’, cataràtt’, mbastapàn,’ ecc. Ho ritenuto l’opera un mezzo e un modo di far conoscere il passato, la “vita” dei nostri padri.

Un altro suo importante volume da segnalare è “Da Grancia a Carcere a Museo del Brigantaggio”, che si focalizza sull’evoluzione di un fabbricato storico a Rionero in Vulture. Ce ne parli.

Il fabbricato attuale sede del Museo del Brigantaggio. Il libro ripercorre l’evoluzione di un fabbricato, appartenente ad una grangia, un possedimento agricolo dei frati del convento di Santa Maria degli Angeli di Atella, di cui Rionero era casale, per essere adibito, una volta divenuta la nostra città comune autonomo, a carcere e quindi a museo del brigantaggio. Si è cercato di ricostruire i luoghi e le vicende che hanno caratterizzato gli avvenimenti della nostra storia locale, chiarendo il significato e l’importanza della grangia nell’economia del tempo, il passaggio di proprietà alla famiglia Catena, la trasformazione della struttura in carcere che ospitò molti di quegli attori che caratterizzarono la nostra storia postunitaria, al suo abbandono a tale servizio, alla ristrutturazione del complesso ad opera della Sovrintendenza ai beni architettonici, voluta dall’amministrazione comunale, per destinarlo a museo-permanente del brigantaggio.

Guardare al passato è indispensabile per proiettarsi nel futuro con realismo ma soprattutto senza paura. Quale messaggio si sente di lanciare ai tanti giovani rioneresi e non, soprattutto in questo periodo pandemico penalizzante sotto l’aspetto lavorativo e non solo, per credere con fiducia nel proprio avvenire?

Il messaggio è questo: essere ottimisti, non aver paura delle difficoltà che s’incontrano nella vita e, soprattutto, avere l’umiltà di ascoltare perché l’orgoglio della propria autosufficienza porta a demonizzare il bene che gli altri compiono ed è causa di solitudine e d’infelicità.

Di BasNews

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