Ore di ansia in Palestina e Israele, mentre si attende cosa accadrà dopo il bombardamento israeliano contro la Striscia di Gaza che ha ucciso 13 persone, tre leader della Jihad islamica e i loro familiari. Un attacco improvviso e imprevisto, dal momento che si reputava che l’ennesimo braccio di ferro tra i duellanti si fosse sedato con il bombardamento israeliano della scorsa settimana in risposta a un lancio di razzi contro i suoi confini.

I missili su Israele e la risposta moderata di Netanyahu

Tutto è iniziato con la morte di Khader Adnan, uno dei capi della Jihad detenuto in Israele, morto a seguito di uno sciopero della fame. I palestinesi avevano accusato i carcerieri di avere favorito la sua morte, ipotesi alla quale propende anche Jihad (vedi Haaretz).

Da qui la risposta della Jihad, con un lancio di missili contro il nemico, che ha provocato per fortuna solo paura. La contro-replica israeliana era stata misurata, tanto che Levy si era lanciato in un insolito elogio di Netanyahu,

“La destra, che fino ad allora non aveva osato andargli contro, ha alzato la testa; negli studi dei notiziari televisivi, i bibiisti hanno criticato la sua asserita mancanza di spina dorsale come mai avevano fatto prima. Il centrosinistra aveva annunciato, al solito, che avrebbe sostenuto qualsiasi azione militare atta a ‘garantire la sicurezza dello Stato’ – niente li batte in questo campo, quando si tratta di entusiasmo per l’azione militare e lo spargimento di sangue palestinese – ma, nonostante tutto questo, la saga si è conclusa in 24 ore, senza morti in Israele e solo un morto nella Striscia di Gaza. Uno spettacolo raro” (la vittima in questione non la penserà allo stesso modo, ma nella sostanza Levy ha ragione).

Non solo, date le difficoltà in cui si dibatte, dovendo affrontare le diuturne proteste dell’opposizione contro la sua riforma giudiziaria liberticida, Netanyahu avrebbe “persino potuto guadagnarci, potendo distogliere l’attenzione dai suoi fallimenti grazie a operazioni eroiche nella Striscia di Gaza”. Non l’ha fatto, da cui l’inusuale lode di Levy, suo acerrimo critico.

Il raid a bersaglio

Ma questo era ieri. Oggi il raid e le 13 vittime. A motivare l’inversione di tendenza la dura presa di posizione di Ben Gvir, il leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit, che aveva minacciato di abbandonare il governo se non si fosse agito con più forza.

Nessuno potrà mai confermare il ruolo determinante di Ben Gvir, dal momento che le opposizioni, che spingevano nella stessa direzione, si ritroverebbero accomunate al loro peggior nemico, l’uomo che spesso nelle loro critiche definiscono fascista. Né Netanyahu vuol passare per ondivago e cedevole alle pressioni.

Così la spiegazione ufficiale è che i raid su Gaza erano stati interrotti perché i leader della Jihad si erano nascosti. E sono ripresi quando sono tornati visibili. Ma resta che Ben Gvir ha annunciato che il boicottaggio nei confronti del governo è terminato “in seguito al lancio dell’Operazione Shield and Arrow dell’IDF a Gaza” (Timesofisrael).

Per parte loro, i palestinesi affermano che i leader della Jihad uccisi erano attesi in Egitto, avendo le autorità del Cairo dato loro “il permesso” per la visita dopo aver ottenuto luce verde da Israele; e sono stati uccisi mentre “salutavano i loro familiari” prima della partenza. Gli egiziani, aggiungono, sarebbero furiosi con Tel Aviv “per l’inganno”.

Ora si attende la replica da Gaza. Amos Arel su Haaretz ricorda che, nel precedente scontro tra la Jihad islamica e Israele, Hamas, che controlla la Striscia, era rimasta neutrale. Ma è improbabile che stavolta “possa permettersi di evitare di essere in qualche modo coinvolta”. Troppe le vittime. Se ciò avverrà, prosegue Arel, lo scontro salirà di livello.

Secondo Arel, però, Hamas sarebbe “interessato a un breve ciclo di combattimenti”, dal momento che la situazione a Gaza gli sarebbe “favorevole” e non vuole rischiare di rovinarla. Forse ha ragione, forse no. Vedremo. Ad oggi, l’unica cosa certa è che ci sarà una risposta che attirerà altre bombe su Gaza.

Questa l’amara conclusione di Arel: “Circa una volta all’anno viene lanciata un’operazione militare [israeliana], ma anche quando l’ultima è finita, Gaza rimane sempre Gaza e i suoi problemi rimangono sempre gli stessi”.

Fonte:

Di BasNews

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