Don Ambrogio Mazzai è un giovane sacerdote, ordinato nell’anno 2016: è collaboratore, a Verona, della parrocchia del quartiere di Porto San Pancrazio, e assistente ecclesiastico del C.S.I (Centro Sportivo Italiano Provinciale). Sta studiando Comunicazione all’Università Salesiana.
Ha deciso, da tempo, di portare la parola di Dio attraverso metodi originali, soprattutto tra i giovanissimi, non solo in presenza, ma anche utilizzando i mezzi digitali. Nei suoi video-tutorial, parla ai ragazzi, e li esorta alla gioia: tenta, con delicatezza, di avvicinarli alla fede, di deviare la loro attenzione dalle abitudini malsane in cui la società di oggi, inevitabilmente, s’imbatte. Lo fa dando consigli semplici, immediati, ma profondi, e rispondendo, spesso con ironia, alle svariate domande che gli vengono poste. Ha raccolto moltissimi followers sui vari social, ed è molto apprezzato per la sua limpidezza e spontaneità.
Coltiva, inoltre, tra i tanti impegni, la passione verso la scrittura. Ha già pubblicato due libri: “Upsy daisy; le domande che non hai mai fatto a un prete”, edito da Tau editrice, e “Poco più di un’estate”, edito da Piemme, un romanzo che racconta l’esperienza di un giovane parroco, incentrata sui rapporti umani che salvano, così come l’amore, che resta sempre.
Di recente, ha curato molti eventi culturali, e ha partecipato, come ospite, a varie trasmissioni televisive, tra cui “Di Buon Mattino”, su TV2000.

Quando ha sentito, dentro di sé, la crescita della sua fede, e della vocazione?

La mia fede l’ho “respirata” sin da quando ero piccolo, grazie alla mia famiglia. I miei genitori, così come i miei nonni, tenevano molto a farmi partecipare alla santa messa, al catechismo, a farmi ricevere i sacramenti. Mi hanno trasmesso profondamente la loro fede, me l’hanno testimoniata, attraverso la loro vita cristiana, al servizio della comunità parrocchiale. Più crescevo, e più cresceva in me la volontà di essere sempre più partecipe alle esperienze che mi avvicinassero alla vita parrocchiale: l’oratorio, i campi scuola, e tant’altro. La vocazione vera e propria l’ho avvertita negli ultimi anni della scuola superiore: mi chiedevo cosa volessi fare della mia vita, e, dentro di me, emergeva, forte, un pensiero legato alla vita sacerdotale. Ho sempre conosciuto sacerdoti molto validi, che mi hanno indotto a percepire la bellezza della loro vita, l’entusiasmo della loro scelta, nonostante le inevitabili difficoltà: tutto questo mi attraeva molto. La mia ispirazione diveniva sempre più forte, così come la mia voglia di “mettermi in gioco”, infatti ho intrapreso la strada della teologia, del seminario, che dura sei anni, e mi sono reso conto che era proprio ciò che cercavo.

Una caratteristica che colpisce molto, della sua personalità, è l’ironia. Che ruolo ha nella chiesa?

Quando una persona mi pone una domanda, tento di approcciarmi a essa attraverso un ragionamento profondo, per indurla a comprendere le mie prospettive, ma non sempre è semplice arrivare a una conclusione costruttiva, soprattutto con chi è fermo e rigido nelle sue convinzioni. Spesso, le “provocazioni”, tramite l’ironia, attivano la tendenza a ricredersi, a guardare le cose in maniera più intensa, e meno limitata: ritengo che sia un ottimo metodo per ampliare i confronti tra persone, e a chiarire, nel miglior modo possibile, i propri dubbi, le proprie incertezze.

Il periodo storico attuale è carico di drammi, che crescono a dismisura, tra violenze, guerre, e tanto altro. È ancora possibile combattere il male con il bene? È ancora possibile, attraverso la fiducia in Dio, proiettare il proprio sguardo verso la luce?

Sì, ritengo che sia di notevole importanza rispondere al male con il bene. Rispondere al male con la vendetta provoca dolore, non solo a chi la riceve, ma soprattutto a chi la attua. Ritengo che non sia sinonimo di intelligenza “ricambiare” le azioni malsane con lo stesso approccio. Non è semplice, tuttavia, fare il bene. Non tutti sono disposti a farlo, si necessita di molto coraggio. È molto facile chiudere il proprio cuore, divenire freddi, quando si è stati feriti. L’entusiasmo, e il desiderio di riprovare a donare ciò che si ha nel cuore, di positivo, vengono spesso minati dal male ricevuto. Eppure, la fede in Dio spiega che esiste sempre la speranza di poter donare la bellezza della propria interiorità agli altri: perdonare, amare i propri nemici, così come ha fatto il Signore con coloro che l’hanno messo in croce, è ancora possibile, bisogna farlo.

Come nasce l’idea del suo ultimo libro, intitolato “Poco più di un’estate”?

Quando ho scritto il primo libro, di carattere divulgativo, avevo già in mente l’idea di pubblicare “Poco più di un’estate”. La vita è fatta di momenti storici, che si susseguono nelle tante vicende: quando si parla di eventi accaduti, vengono ripercorse le tante emozioni percepite, legate a essi. Diventa un cammino di approfondimento. Spesso, per risolvere problemi interiori, raccontiamo, a una terza persona, gli eventi che ci hanno coinvolti. Questo ci induce a districare, elaborare ciò che portiamo dentro. Il mio romanzo è caratterizzato da tante storie di vita, quelle che io ho vissuto, quelle che mi hanno raccontato, e le ho sintetizzate, affinché tutto questo potesse “parlare” alla storia soggettiva delle persone, in maniera profonda.

Tra i tanti, qual è stato il momento più emozionante nel suo percorso sacerdotale?

Il mio inizio. È stato bellissimo, carico di emotività, quando sono stato diventato viceparroco di otto parrocchie. Avevo venticinque anni. Si trattava di un carico di lavoro molto difficile da gestire, avevo tanto da imparare, le mie giornate erano difficilmente programmabili. È stato un percorso complesso, ma, dopo essermi assestato, ho guardato il tutto attraverso la benedizione del Signore: mi ha fatto fare delle cose che, umanamente, non sarei mai stato in grado di fare.

Lei è molto attivo sui social network, veicola messaggi rivoluzionari, per nulla banali. Quali sono i riscontri da parte di chi la segue?

I riscontri sono molto positivi. Molti mi dicono che, dopo una vita di fede piatta e superficiale, sono riusciti a provare il desiderio di ‘prendere in mano’ la propria vita. Altre persone provano risentimento, rancore, e odio nei miei confronti: lo comprendo. Io dico spesso cose non piacevoli da ascoltare: quando vogliamo bene, quando dimostriamo un affetto sincero verso qualcuno, non diciamo mai una bugia, ma esortiamo a cambiare strada, quando quella percorsa è errata, e lo facciamo tramite la verità. La verità diventa scomoda.

La società sembra suggerire di focalizzarsi sull’aspetto estetico, pragmatico, materialistico dell’esistenza. In che modo si può tornare all’ascolto dell’anima, delle emozioni primordiali?

L’essere umano è portato a mostrare solamente la parte “bella” di sé, e a nascondere le difficoltà, i momenti di depressione, di crisi. Credo che sia utile accettare che la vita è fatta anche di fasi difficili, ordinarie, e non sempre caratterizzata dalle feste, dal sabato sera, dal divertimento. I momenti di crisi plasmano, provocano crescita.
Cito l’amore. L’amore non vive nelle cose straordinarie, ma anche nella semplicità. Curare la propria vita, soprattutto nella profondità, è ciò che manca nella società, ma è indispensabile.

Cosa pensa della festa di Halloween?

La festa di Halloween è, attualmente, una delle feste più importanti del mondo satanista, in antitesi con la festa dei defunti, e dei santi, per il mondo cristiano, che rappresenta una prospettiva completamente diversa. Mentre Halloween vuol celebrare la morte, noi cristiani preghiamo per i defunti, che non sono morti, ma vivono in Dio: crediamo nella resurrezione. Dopo il passaggio terreno, e il momento del decesso, crediamo fermamente alla santità, al paradiso, che ci è stato preparato da Dio. Ritengo che questa festa satanista vada assolutamente evitata: è importante pregare per i propri cari defunti, e per tutti i santi.

Come immagina l’aldilà?

Sono convinto che l’aldilà sia molto di più di ciò che riusciamo a immaginare.

Carmen Piccirillo

Di BasNews

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