Mi è venuto spontaneo, quando ho avuto tra le mani la “VITA” di Michele Traficante, pensare a Ippolito Nievo e alle sue “Confessioni di un italiano o di un ottuagenario”, pur considerata la sostanziale diversità dei contenuti delle due opere; Nievo descriveva storie risorgimentali, a differenza di Michele che descrive il suo… risorgimento personale. Ora stabilire differenze tra confessioni e diario non è facile, anche se possiamo accomunarle entrambe, in quanto si occupano di…”ricordi” o, come piace dire a Michele, del suo “Amarcord” personale. Intanto ho cominciato a leggere “Vita” con un tantino di indecisione, memore di avere, in un recente passato, affidato un mio lavoro simile ad un critico letterario di notevole spessore; costui rispose, senza peli sulla lingua che, per principio, non leggeva opere autobiografiche perché -testuali parole- “non sopportava la voglia di far sapere oggettivamente, pedissequamente, avvenimenti personali, come fossero cose importanti, necessarie, anzi indispensabili alla conoscenza del mondo”. Ma cambiò idea perché ritenne che il mio lavoro non potesse considerarsi una autobiografia nel senso classico. Io, invece, non ho avuto bisogno di cambiare idea per tutta una serie di motivi che verrò ad esporre. Anzitutto, già dalle prime pagine si evince di trovarsi in un clima surreale mentre scorrono le immagini delle sue vicissitudini lavorative e umane; ma subito dopo, il lettore viene a trovarsi nell’occhio di un ciclone, venendo a conoscenza, pagina dopo pagina, delle sue numerose attività svolte fino a oggi, dei suoi molteplici interessi, della sua odissea come Maestro di un’altra epoca, che oggi è difficile incontrare non fosse altro che perché sono cambiati i tempi. Anzitutto emerge un uomo non comune, dotato di una volontà ferrea nell’assecondare tutti i suoi interessi. Michele, come risulta dalla descrizione, fin dai primi anni della sua vita, non si è mai tirato indietro e ha affrontato con un non comune savoir faire e una grinta inimmaginabile, tutte le difficoltà, con semplicità, con piacere e con tanta serenità. Alcuni avvenimenti ci stupiscono per la loro genuinità anche perché sono raccontati in modo accattivante dal “giovane ottuagenario” che travolge tutti con la sua equilibrata ironia e semplicità e con la sua onesta e misurata descrizione. Mi viene in mente, tra i tanti, l’episodio -commovente- del latore dei peperoni ripieni; costui incaricato dal padre di Michele, momentaneamente a Napoli, di recapitare la preziosa “merce” ai

figli, pensò bene di farli sparire e “papparseli” lui, senza curarsi di farli arrivare a destinazione come pure aveva assicurato. Michele, benché contrariato, non insulta l’inconsueto postino, non si dilunga in improperi né pensa di chiedere spiegazioni appena lo incontrerà e, soprattutto, i suoi non saranno pensieri di vendetta, nonostante il tiro mancino giocato inaspettatamente. Michele accetta “il furto” con umiltà, sembra quasi capire le ragioni, anche se magari avverte l’acquolina in bocca per quei magnifici peperoni preparati con tutto l’amore dal padre. Anche l’episodio della bella e avvenente signorina, non può passare inosservato, nonostante i tempi certamente diversi rispetto a quelli di oggi. La donna, evidentemente innamorata di Michele, non trova di meglio che mostrare le sue grazie senza esitazione, senza che neppure sia stata avanzata una minima richiesta in tal senso, ma non immagina il tipo di uomo che ha di fronte, ligio come sempre ai suoi doveri che, con decisione, rifiuta le avances “pensando alla famiglia e ai figli”. Ma i suoi eroici furori, Michele li fa venire fuori in altre occasioni: nell’amore per la fotografia, negli interessi di carattere medico, nella “professione” di giornalista e di scrittore, di MAESTRO (con tutta la sua odissea affrontata con caparbietà, senza lasciarsi mai scoraggiare), con la passione per la caccia, con l’amore per lo sport. E, come non pensare all’altra odissea, quella del suo lungo e proficuo rapporto con l’Istituto dove si è distinto in varie attività e prove tutte superate egregiamente, della sua -dimenticavo- non trascurabile passione per la musica. Michele era un uomo che non diceva mai di no! E, ancora oggi, di fronte a nuovi progetti di scrittura, a nuove iniziative, è sempre disponibile e col sorriso sulle labbra. Tra l’altro, ho avuto l’onore e il piacere di poterlo annoverare tra i miei pazienti per quasi un quarantennio e posso affermare, senza tema di “svelare qualche segreto professionale”, che mai si è lasciato condizionare dagli eventi, anche di un certo peso, da situazioni che bisognava affrontare con decisione, rapidità e coraggio; d’altronde è già emerso che queste erano le sue migliori qualità. Avrebbe voluto impegnarsi anche nella politica portando un suo contributo, ma il compito risultò più arduo del previsto. Né posso dimenticare uno dei suoi titoli onorifici e cioè la “Cittadinanza onoraria” che il comune di Ruvo del Monte gli attribuì per i suoi numerosi meriti, compresa la direzione del giornale locale e di cui era Presidente.

Ad un certo punto della lettura, poi, emerge la fraterna amicizia con l’Ingegnere Catenacci, di cui parla diffusamente fino a farci ancora

commuovere con la composizione dell’amico per la moglie scomparsa prematuramente. Dallo scritto di difficile collocazione letteraria, per lo stile elegiaco, che prevale oltre che per le suggestioni soprattutto ovidiane, l’ingegnere è ricordato per la sua cultura e il suo eclettismo, la sua umanità, la sua forza d’animo, le sue altissime capacità “tecniche” ben note a tutti i cittadini dei suoi tempi fino a quelli di oggi, tramandate di generazione in generazione. Senza dilungarmi devo aggiungere che l’unico ricordo vago che ho di lui riguarda una commemorazione funebre in onore di un avvocato, suo amico; io avevo forse 6 anni e avevo visto tanta gente che si dirigeva verso la Chiesa Madre. Una volta giunto lì mi intrufolai tra la folla numerosissima e ascoltai la sua orazione funebre. Non ero abituato a certi discorsi e dovetti allontanarmi dopo le prime parole perché mi ritrovai a piangere senza capirne il motivo ma apprezzando, per quello che potevo alla mia età, la sua eloquenza e la sua capacità di fare breccia nell’animo umano.

Tornando a Michele, non posso non ripetere che, andando avanti nella lettura del suo libro, sono venuto a trovarmi nel bel mezzo di una favola, che tutti dovrebbero leggere per conoscere il suo impegno, la passione in ogni settore e soprattutto la grande umanità. Michele si muove con facilità e con ingenua disinvoltura davanti a situazioni apparentemente banali; e ancora una volta le descrizioni stimolano il sorriso, anche se talvolta amaro. Mi piace ricordare uno dei tanti episodi occorsogli durante uno dei primi incarichi come insegnante e raccontato con la solita semplicità: un giorno dovette fare a meno della toilette che era solito usare, semplicemente perché nell’ambiente in cui si trovava quella era un genere di lusso; gli fu fatto notare che i terreni circostanti erano un’immensa toilette “naturale” a cielo aperto. Bisognava perciò arrangiarsi confortandosi, se era buio, a “veder le stelle”; il pensiero di Dante certamente gli fece accettare quella situazione. Il suo spirito mite dovette sopportare anche altre rinunce per le imposizione di questo o quel “superiore”, ma ne venne fuori sempre con dignità rispetto e dedizione che portava per il suo lavoro e la sua adorata famiglia.

Michele, ieri come oggi, è un uomo mite di cuore, un uomo dal “modus” di oraziana memoria, dotato di una grande disponibilità e ancor più grande umanità .

Michele Libutti

Di BasNews

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