di lorenzo merlo

Nel sortilegio dei saperi storici, scambiati per conoscenza, li si coltiva a spron battuto credendo ci portino infine alla verità, alla serenità, alla pace. Così facendo la mota di dati che li contengono copre il cuore di diamante della vera conoscenza già presente in noi. Che non può stare in ciò che viene assunto e logicamente confezionato in quanto della logica non sa che farsene e così del metodo scientifico.

Padre

Socrate aveva riconosciuto che il sapere non porta alla verità, alla conoscenza. Secondo quanto ci ha raccontato Platone, il noto brocardo filosofico so di non sapere, sarebbe proprio da attribuire al filosofo considerato il papà del pensiero occidentale.

Se papà è stato, è certamente stato anche infinitamente tradito e disatteso. O, più freudianamente, i suoi figli non si sono mai emancipati dal complesso di Edipo. Pur di non riconoscere il verbo del genitore, seguitano a dargli contro, perpetuando così una competizione e un conflitto che inevitabilmente conduce al titolo di cecità di colui che sa. Grave patologia, culturalmente contagiosa, esistenzialmente esiziale, spiritualmente sterile che infetta a mezzo stampa, che si diffonde da sempre per le strade, nelle case, nelle scuole, nelle università. Chi è preso dal morbo soffre di un solo sintomo, crede che i suoi saperi comportino conoscenza.

Tutto una famiglia

È una parabola, riflesso della modalità positivista che contiene il pensare e il fare di quest’epoca meschina. Se prima il do ut des riguardava anche il dono e il potere, ora l’assolutismo mercificante è divenuto una meta cui tendere, un situazionismo incarnato. Quella parabola è anche, e soprattutto, figlia della concezione materialista e meccanicista del mondo. Una concezione innata che la fa vivere come la sola vera, praticabile, foriera di progresso.

Positivismo, materialismo, meccanicismo e razionalismo compongono un solido quadrato identitario, duro da scalfire. Esso corrisponde a una inconsapevole religione. I suoi devoti cavalieri, ad essa si prostrano, e con spudoratezza crociatica ne impongono i dogmi, i rituali e le salmodie.

Diritto divino

Per i paladini della verità caduta in loro per diritto divino o forse più autoreferenzialmente, per quello logico-razional-scientista passare alle scomuniche, ai roghi, alle inquisizioni, agli stermini, alle ghettizzazioni, alle emarginazioni, alle derisioni, alle criminalizzazioni, alle condanne, alle esecuzioni nei confronti degli eretici, è cosa dovuta e giusta.

In groppa a Socrate, si potrebbe concludere che il più limitato è colui che sa, e che fa del suo sapere conoscenza, e di detta conoscenza un pulpito da cui declamare il proprio diritto al giudizio, da ritenersi insindacabile.

È un assolutismo intellettuale, con ordinari riflessi pratico-esistenziali, arrogantemente perpetrato con faccia di compatimento, spesso sotto l’egida di un vantato cosiddetto buon senso, ancora più ordinariamente travestito da falsa tolleranza.

La patacca

Il probiviro della verità, per diritto di patacca, quando possibile si fa chiamare professore, dottore, accademico, illustre o con titoli similari. Nel novero del lei non sa chi sono io, troviamo i don, gli esperti, i tecnici, gli specialisti, i competenti, i ricercatori, gli scientisti. Il plinto dal quale proclamano al popolo come stanno realmente le cose, credono di vedere tutto. Ma a causa del sacchetto in testa del pensiero unico della cultura positivista, gli sfugge invece la risibilità di se stessi. L’uniformizzazione dell’immaginario che essa comporta non toglie peso al professore e ai suoi consimili, in quanto dice: “è democratico”. E pure lo vanta, come fosse scientificamente provato. Una formula che fa da tempo tacere il pensiero critico di tutti. E a ragione, si deve dire: la devozione al materialismo ha una maggioranza plebiscitaria, di tipo bulgaro.

Sviste di poco conto

Colui che sa è totalmente identificato nella forma che la storia gli ha riservato, tanto che si crede il titolare della vita che lo anima. Un prologo che gli impedisce l’idoneità a riconoscere nel prossimo un sé identico a se stesso se non per le differenze formali, così come lo sono due foglie della stesso ramo. Si ritiene infatti, non solo altro dagli altri, ma necessariamente separato. Ma ciò, non è ancora il culmine del discorso. In cima alla nefasta discesa, all’origine della celebrazione del pensiero analitico c’è l’assenza della consapevolezza di essere parte integrata di un solo organismo cosmico, di essere tutti discendenti storici di una mente che ha pensato tutto ciò che chiamiamo realtà. Il pensiero analitico è quello che ritiene, non solo di poter separare la realtà in parti, ma anche di poterne così individuare a tavolino la natura e le caratteristiche, ottusamente ignaro che ciò che esiste, esiste in quel modo a causa delle relazioni con tutto il resto e che ciò che è osservato risente dello stato e degli interessi dell’osservatore. Due sviste di talmente poco conto che se le fai presente a colui che sa, lui soprassiede, fa finta di non sentirle.

Te la do io l’origine

Il professore, il dottore, lo specialista e l’esperto nel pensare e pronunciare lei non sa chi sono io, dicono qualcosa di ancora superiore alle due sviste. In quella superiorità patacchica non è presente la consapevolezza del legame con la propria origine esistenziale. Origine che, buffescamente, pensano di arrivare a svelare con i loro dati, la loro logica, i loro algoritmi, la loro intelligenza artificiale, con il loro piatto, disumano sapere.

Stregati dal sortilegio dualista e razionalista, hanno dato tutta la loro intelligenza alla logica, restando però inetti a riconoscere nei suoi paradossi anche la sua fallacia, se impiegata al fine della conoscenza, che sia appunto specialistica e solo storica.

Heisenberg chi?

La logica fa il mondo piatto, lo devitalizza, lo snatura, lo rende merce e prodotto, materia inerte, non ne vede il pensiero il cuore e la mente. Lo uccide. Inutile mostrare loro i volumi della realtà nelle relazioni. Guarderanno il dito e aggiungeranno tutte le spiegazioni di cui dispongono, per dimostrare qualcosa che a loro sembra tutto, esaustivo e incriticabile. Come guardare le gocce della tempesta per muoversi nella burrasca. Ma quel “tutto” a loro credere, è niente. Nel loro piatto universo manca il lato che logica e razionalismo impediscono di vedere, il lato della magia. Quello che la fisica quantistica, come dice Werner Karl Heisenberg terremota la definitività della fisica classica, meccanicista.

“La fisica classica partiva dalla convinzione – o si direbbe meglio dall’illusione? – che noi potevamo descrivere il mondo, o almeno una parte di esso, senza alcun riferimento a noi stessi”.

[…]

“I successi da essa ottenuti han condotto all’idea generale d’una descrizione oggettiva del mondo. L’oggettività è divenuto il primo criterio di valutazione di qualsiasi risultato scientifico”.

[…]

“Ma essa parte dalla divisione del mondo in «oggetto» e resto del mondo, e dal fatto che almeno per il resto del mondo ci serviamo dei concetti classici per la nostra descrizione. È una visione arbitraria e storicamente una diretta conseguenza del nostro metodo scientifico […]”. (1)

Le sinapsi di una mente non hanno bisogno del contatto fisico o elettrico, non sanno che farsene della logica, e neppure dello spazio-tempo. Non sottostanno ad alcun determinismo. Esse hanno a che vedere con l’infinito.

La loro cosiddetta dimostrazione, oltre al lei non sa chi sono io, esprime la distanza siderale da cosa effettivamente si intenda con magia, con spiritualità, con energia sottile. Da cosa, da migliaia di anni, è noto alle tradizioni sapienziali di tutto il mondo.

Cagnolini

Il loro mondo è chiuso nella scatola in cui belle e ordinate categorie autoreferenziali, senza vergogna, lo espongono agli ignoranti e ai ciarlatani. Come la panacea di quello in bombetta faceva con i villici, gli zoticoni, i burini, i buzzurri, gli incivili e i bifolchi. Toccasana per tutte le deficienze di conoscenza. Ma è una sorta di fiera delle vanità. Oltre ad esse c’è il vuoto nascosto sotto la coperta dell’autoreferenzialità. Un vuoto imposto dai loro grezzi strumenti – che credono sofisticati – inadatti a maneggiare quanto neppure concepiscono.

Ed è proprio la scatoletta in cui pensano di aver contenuto il mondo l’humus da cui si genera il mistero. Il guinzaglio logico che limita la loro creatività, nonostante l’accanimento, gli impedisce di riconoscere la via che lo svela. Non sospettano che il mistero svanisce quando si riconosce l’autoreferenzialità del sapere scambiato per conoscenza. Ma “che lo dico a fare”, non sanno tendere l’elastico del loro orizzonte, non sanno spingersi al largo e non vedere più terra. Non sanno andare oltre le verità storiche e della propria biografia.

Cosmogonia di colui che sa

La cosmogonia di colui che sa è raccolta nelle regole auree della sua tavola della fede. Quella che i suoi nemici, inferiori e ciarlatani chiamano anche i comandamenti del bigotto.

  1. Non avrai altra realtà oltre quella misurabile e quantificabile. Ad essa ti prostrerai e per essa abdicherai alla tua creatività.
  2. Con il devoto impiego della strumentazione di cui disponi celebrerai il solo mondo autentico, quello oggettivato, uguale per tutti.
  3. Solo il metodo scientifico è in grado di discernere tra ciò che è vero da quanto non lo è.
  4. Con protocolli e algoritmi, statistiche e questionari dimostrerete di conoscere e dominare il mondo.
  5. Solo i saperi cognitivi e l’accumulo di dati comporta conoscenza.
  6. Solo lo studio dei dati permette di fuggire alle suggestioni.
  7. Per la conoscenza, emozioni e sentimenti non sono necessari.
  8. Punisci chi sostiene che le relazioni creano una mente.
  9. Non mangiare la mela che ti svelerebbe l’autoreferenzialità del tuo castello babilonesco, il tuo edificio in cui alberga la sola legge universale.
  10. Non cessate di ciarlare. Mantenetevi incaponiti. I vostri argomenti razionali convinceranno il mondo, perché l’esperienza è trasmissibile.
  11. La magia è una fandonia. Non è possibile che spariscano le cose.
  12. La materia non è energia.
  13. Il mondo vero è solo quello duale.
  14. Non avrai altro mondo che quello oggettivo, da te stabilito.
  15. Non cessare di credere di poter svelare il mistero della vita, col Piccolo meccanico che ti è stato fornito.
  16. Persevera a credere che le tue affermazioni siano verità per tutti, ovvero a non vedere che la domanda non è se è vero o no? Ma in che termini lo è?
  17. Continua a crederti autore delle tue idee. È la modalità per non deragliare dalla retta via, per seguitare a scambiare la scatoletta in cui sei come universo.
  18. Non mettere in dubbio perciò che le idee ci siano già tutte e che tu non fai altro che raccogliere quelle utili al tuo discorso.
  19. Seguita anche a credere che il bailamme delle differenze formali, non sia generato da una sola luce.
  20. E anche perciò a non vedere che tutte le descrizioni della realtà – scientifiche quanto ti pare – non solo non sono la realtà, ma sono allegorie, analogie e metafore reciproche.
  21. Non indugiare davanti ad affermazioni eretiche quali così in alto come in basso, disconoscile, fustigale, condannale, uccidile.
  22. Non cadere in tentazione che l’osservatore faccia la realtà.
  23. Neppure che l’emozione abbia a che vedere con ciò che sei.
  24. Continua a crederti coerente e lascia l’incoerenza ai peccatori di irrazionale.
  25. Non nominare il nome della scienza invano, essa già è tutto.
  26. Ricorda di celebrare il metodo scientifico.
  27. Non commettere atti eretici, come per esempio sostenere l’idea che niente è mai risolto, che tutto è sempre là presente, che solo la circostanza – che tutto include – fa il mondo che stai descrivendo.
  28. Non rubare altre verità, non indagare altri universi. Non ce ne sono.
  29. Non cessare di analizzare, nell’analisi c’è la sola legittima ricerca.
  30. Logica, razionalismo e materia sono i soli mezzi per indagare la realtà.
  31. Lascia ai miscredenti i brocardi di Eraclito: “per quanto tu possa camminare e neppure percorrendo intera la via potresti mai trovare i confini dell’anima così profondo è il suo logos”; “È proprio dell’anima un logos che accresce se stesso”. E anche quello di Aristotele: “L’anima è in certo modo tutte le cose”.
  32. Nell’incertezza del dilemma non tremare, resta avvinghiato al pensiero lineare.

Raccontami una storia

Il professore non sospetta che il discorso fa la realtà e che questa è una metafora, e non vedendolo cade a credere nella verità generata dalla sua stessa narrazione.

“Il matematico olandese e padre dell’intuizionismo Lorentz Brouwer ci insegna che ogni dimostrazione dovrebbe essere identificata con la proposizione che intende dimostrare. Questa prospettiva elimina la necessità di presupporre aprioristicamente la decidibilità, e si limita a identificare la dimostrazione con la costruzione formale della proposizione stessa. La dimostrazione non è più al servizio della verità, la quale, come spiegato da Gödel, non può che cristallizzarsi in modo anomalo eludendo qualsiasi formalizzazione” (1)

Fate vobis

Questo articolo avrebbe anche potuto essere altrimenti intitolato:

Cosmogonia del babbeo.

Cosmogonia da trattoria.

Cosmogonia del divanista.

Cosmogonia del buon scolaro.

Cosmogonia dei giardinetti.

Cosmogonia universitaria.

Cosmogonia del professore, o dello stolto.

Nota

  1. Werner Heisenberg, Fisica e filosofia, Milano, Il Saggiatore, 1963, pgg 60, 61
  2. https://www.sinistrainrete.info/teoria/26876-nicola-pinzani-numeri-e-forme.html

Di BasNews

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