Trump sta provando (a fatica) a gestire il declino dell’imperialismo USA

Stefano Zecchinelli

Il summit Putin-Trump, tenutosi in Alaska, ha confermato quanto più volte abbiamo spiegato su “L’Interferenza”: l’imperialismo non è in grado, quantomeno dalla sconfitta in Vietnam, di vincere una “guerra convenzionale” basata sul controllo territoriale, quindi l’unica opzione percorribile è la “guerra irregolare” o “guerra cognitiva”. Questa disamina ci aiuta a comprendere il ruolo dell’informazione nel XXI secolo. Incapaci di produrre analisi, i giornalisti alimentano la costruzione dell’”uomo massa” (altrimenti definibile come “individuo alienato-programmato”) centralizzata sul rigetto del pensiero critico e la rimozione dell’ombra. La dottrina della “guerra eterna”, teorizzata dai neoconservatori USA e dal sionismo-revisionista, esclude l’idea stessa di cittadinanza: l’”uomo massa”, suddito rancoroso indottrinato al “non concetto” di razze criminali, è il prodotto di una autentica controrivoluzione globale.

Il presidente Trump, personaggio inaffidabile che si lascia trasportare dallo “stato profondo”, secondo l’analista strategico Andrew Korybko potrebbe cedere a queste richieste avanzate da Mosca:

“Nell’ordine in cui sono stati menzionati gli obiettivi di Putin, Trump probabilmente si aspetta che Zelensky accetti di: ridurre le dimensioni delle sue forze armate dopo la fine del conflitto; convincere la Rada a criminalizzare la glorificazione dei collaboratori nazisti ucraini della seconda guerra mondiale e/o a revocare la legislazione anti-russa; far loro rimuovere l’emendamento costituzionale del 2019 sulla richiesta di adesione alla NATO; e/o modificare la costituzione per cedere più facilmente la terra senza dover prima tenere un referendum pan-ucraino su questo tema.” 1

Una dinamica complessa che conferma la Russia come prima potenza militare mondiale, indubbiamente per quanto concerne la “guerra di terza generazione”, sancendo il ruolo basico dell’Eurasia nella ricostruzione economica d’una porzione del mondo de-globalizzato. La narco-dittatura di Kiev è, di fatto, politicamente bollita. Il governo russo ha dimostrato d’essere estremamente coerente ed affidabile, dall’altra parte l’Ue è un Cavallo di Troia dei neoconservatori. Bruxelles intende morire per il governo ucraino-nazista ed il nuovo fascismo ebraico, un Super clan necrotizzato che, con cinismo e nell’indifferenza, ha pianificato la demolizione di una parte del pianeta. Nel complesso, dopo aver letto con attenzione la pubblicistica prodotta dagli analisti russi, possiamo ritenere l’Operazione Z come di fatto una rivoluzione anti-globalista. I media russi rimangono coerenti, quelli europei risultano decotti: l’ODG, in Italia, risponde allo slogan fascistoide “all’ordine scribacchini”.

Trump non è un “anti-globalista”, quanto, piuttosto, è l’uomo prescelto dal Pentagono per gestire la sconfitta strategica dell’imperialismo USA in Ucraina. L’Ue, più radicale lungo la via tracciata da Leo Strauss, persegue “la distruzione per la distruzione”, “il male per il male”. La “sinistra neoliberale” intende morire per gli eredi di Stephan Bandera, uno dei più grandi organizzatori di pogrom antisemiti del ventesimo secolo.

Qualunque sia l’esito dei colloqui, l’Ue (un autentico piede di porco dei neoconservatori) riporterà l’amministrazione Trump sulla via della guerra: Donald Trump, troppo vile, narcisista e pavido. Come scrive il giornalista del World Socialist Web Site (WSWS), testata d’orientamento marxista rivoluzionario, Alex Lantier:

“Qualunque sia l’esito dei colloqui odierni, non ci sarà una soluzione militare-diplomatica duratura alla guerra tra NATO e Russia, che è intrinsecamente legata ai piani dell’imperialismo per una guerra contro la crescente economia cinese, nonché alle guerre neocoloniali in tutto il Medio Oriente. Questa guerra può essere risolta, e il pericolo di una guerra mondiale potenzialmente catastrofica scongiurato, solo costruendo un movimento internazionale, socialista e pacifista della classe operaia.” 2

Putin sa bene che Trump non è la soluzione del problema, ma semplicemente un cambio di strategia da parte di Washington: gestire il passaggio da un “impero lungo” ad un “impero corto”, una maniera differente d’intendere il connubio fra globalizzazione ed imperialismo. Dagli USA non arriverà, mai, nulla di buono.

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