di lorenzo merlo ekarrrt – 061122

Tutta la conoscenza nella quale l’uomo impiega le sue energie e nella quale ritiene di cercare e trovare la verità non è che un diversivo del male.

Secondo certa narrazione religiosa, ad un certo punto l’uomo si è separato dalla conoscenza. La sua arroganza lo ha fatto cedere alle lusinghe del male. Gli ha fatto credere di potere fare a meno del mistero che l’ha generato. Tutta la sua storia può stare entro un solo simbolo di quella narrazione, quello della Torre di Babele.

La medesima storia umana è contenuta e rappresentata da altri simboli e da altre narrazioni spirituali. Una di queste è il Tao. Il suo primo riferimento simbolico, un volume in cui la dualità della storia è infinita e ineludibile, è frattalicamente rappresentata dall’Yin e dallo Yang.

Si tratta di due tra le molte tradizioni dal carattere sostanzialmente univoco. Tutte rappresentano la gogna dell’esistenza terrestre e, contemporaneamente, esprimono la via per realizzare nella mondanità la migliore condizione di vita.

Una condizione a cui spesso crediamo di poter rinunciare in cambio di qualche vantaggio, rispetto al quale la vanità che ci domina non è che burro sotto una lama. Tuttavia, chiunque sottoscriverebbe di vivere nella bellezza il proprio istante di vita.

È da tale contraddizione che si può evincere che l’indicazione di tutte le tradizioni spirituali, che culminano sostanzialmente nell’amore, non è cosa solo per mistici e affabulatori, ma per tutti. Non l’amore passionale, che riferisce dell’interesse personale o che traveste quello biologico, ma quello incondizionato, che solo uno spirito colmo di serenità è in grado di emettere. Quello il cui sentimento di riferimento si compone di riconoscenza e beatitudine. Quello che permette di superare i dilemmi del mondo duale, del quale vede la verità dell’intero.

Involontaria azione, possibile soltanto dopo avere svestito la realtà dalle sue infinite forme e il tempo dal suo apparente avanzare. Cioè soltanto dopo avere visto in opera l’eterno ritorno dell’identico.

Osservando la banalità di queste considerazioni, oppure, più pomposamente, riconoscendo in esse il sottile, energetico del reale o il significato del simbolo e il suo potere, nonché la presenza dello spirito di Dio, si riconosce anche ciò che la vita offre all’uomo: la possibilità evolutiva. Nient’altro che un percorso durante il quale l’individuo prende coscienza della sua identificazione con la propria forma, il proprio ruolo, identità storica, sentimenti e da questi si emancipa, riconoscendo in quella concezione l’origine della sofferenza propria e altrui.

Tutto ciò pone al centro l’individuo. Ma non si tratta di un fatto in qualche modo antipolitico, anzi. Semplicemente, ritiene che la sola evoluzione non possa che avere carattere individuale, che l’esperienza non è trasmissibile – se lo fosse saremmo saggi da millenni –, che l’inconsapevolezza di tanta banalità conduce e alimenta le ideologie e, giocoforza, i dogmi. Dunque, nessuna separazione tra individuale e politico-sociale.

Riformulare quanto detto a propria misura, ovvero ricrearlo, è quindi necessario per l’evoluzione del mondo. Se il valore di quest’ultima considerazione non ha tempo, nella nostra epoca industriale, ed ora digitale, esso cresce enormemente ed esponenzialmente.

Le rispettive torri di Babele superano in arroganza tutte quelle delle precedenti epoche. In esse si osserva una radicale separazione dai cicli naturali e dalla saggezza ad essi legata. Si osserva la celebrazione in forma di virtù dei vizi capitali, ossia di ciò che, spiritualmente, rappresenta il più alto degrado e la maggior distanza dalla conoscenza. Rappresenta l’inidoneità a riconoscere che la conoscenza è già in noi.

I dati – chiamiamoli dati – che ci sono in una squama di pesce, sono più espressione di creazione e vita di quelli di un qualunque prodotto calcolato. Il campo d’azione di una squama è infinitamente più grande di quello di una merce replicabile. In esso si trovano la Natura e Dio. Ovvero, esattamente quanto è assente nella torre di Babele di ogni intento tecnologico di replicazione dell’uomo. A sua volta, esattamente l’abisso nel quale stiamo precipitando.

Così, come la natura faceva crescere nella consapevolezza di un imprescindibile e immanente legame con essa, le attività degli uomini, da essa slegate, spaccano la nostra capacità di concepire quanto tutta la conoscenza cognitiva, nella quale crediamo di trovare la verità – quel luogo in cui riponiamo la spiegazione del mondo –, non sia di fatto nient’altro che l’attestazione del dominio dell’esatto contrario dell’amore. Dicasi anche equilibrio, forza, invulnerabilità, bellezza, armonia, serenità, creatività, soddisfazione, scoperta e realizzazione di sé. Oppure, per opposto, alienazione, umiliazione, mortificazione, ripetizione, nichilismo. Vuoto.

Di BasNews

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