Chissà magari è una questione di karma se l’Occidente nel momento del declino del suo potere si avvia anche verso la propria catastrofe etica. Per comprenderla a pieno basta semplicemente osservare l’indignazione e il clamore per l’assassinio di due diplomatici israeliani a Washington e confrontarli col silenzio sulla morte per fame di cinque bambini palestinesi avvenuta lo stesso giorno. Ma non solo: anche il fatto che l’esercito di Tel Aviv abbia preso a fucilate un gruppo di diplomatici per allontanarli da un luogo in cui i soldati si abbandonavano a stupri, torture e uccisioni. Sulla bilancia della politica questi orrori pesano come piume. Ma proprio questo totale disprezzo per la vita mi porta anche a pensare che pure il killeraggio di Washington sia stato messo in atto dalla stessa parte per mettere in secondo piano ciò che sta accadendo a Gaza e per controbilanciarne il significato, sfruttando l’ignavia dei media e della gente. Dopotutto un diplomatico sionista quante migliaia di palestinesi vale? Mille, diecimila, un milione? Non sarebbe certo un fatto nuovo: all’inizio di questa guerra molti israeliani sono stati sacrificati dal loro stesso esercito per dare una sorta di copertura morale anticipata alla “soluzione finale” su Gaza. Per non parlare della strage inventata di bambini israeliani, che è circolata per mesi nell’informazione, nonostante la sua palese e accertata falsità.
C’è una differenza con l’ignobile passato, un passo avanti nel degrado, una soglia che è stata attraversata: le stragi nella Germania nazista, avvenute anche con la complicità se non addirittura l’aiuto (vedi il triste capitolo dell’Ibm) dei Paesi nemici, venivano tenute nascoste perché non sarebbe stato possibile ottenere una sorta di salvacondotto morale per l’Olocausto. Oggi invece a Gaza si muore di bombe e di fame con la sostanziale approvazione dei Paesi occidentali che a mala pena osano dire qualcosa, ma censurano, discriminano e mettono persino in galera chi osa sostenere le ragioni dei palestinesi di Gaza. Alcuni fanno piani per la trasformazione della Striscia in una specie di resort per ricchi vacanzieri, altri parlano di deportazione come se si trattasse di una gita fuoriporta e altri ancora si occupano di tenere il numero delle vittime il più basso possibile, mentre le cifre ufficiali, anche secondo autorevoli report, è di molto inferiore alla realtà. Quegli stessi giornali e quelle stesse forze politiche che parlano di deportazione se qualche clandestino con fedina penale lunga un chilometro, rischia di essere allontanto, cambiano completamente registro quando si tratta di Gaza, dove invece si dà per quasi scontata la pulizia etnica, stando sempre attenti a mostrare che dopotutto essa possa trovare una giustificazione. Ciò restituisce assolutamente la misura della vacuità morale in cui navighiamo, del doppiopesismo senza se e senza ma che domina l’informazione e che alla fine domina noi stessi e gli ordini del giorno che molti accettano come verità rivelata non fermandosi mai a riflettere sul significato di ciò che accade.
La nostra realtà è ben più misera, è quella della fila a Milano per procurarsi un orologetto dozzinale, ma marchiato con il nome di un noto venditore meneghino di segnatempo di lusso: centinaia, forse migliaia di coatti di quelli che dicono “tac” e non “aho” si sono addensati davanti al negozio fin dalle prime luci dell’alba per procurarsi un oggetto che secondo loro restituisce un’immagine di sé figa e ricca. Certo un appassionato di orologi, ci mette mezzo secondo a riconoscere un coatto proprio da ciò che porta al polso, ma loro non lo sanno, come non sanno nulla del mondo che li circonda, non sono nulla e possono affacciarsi all’essere grazie a queste protesi consumistiche. Appaiono per ciò che portano o indossano, ma la loro testa è vuota e l’anima nemmeno ce l’hanno. Sono gli orrori della contemporaneità e forse l’immagine più tipica dell’Occidente, le cui ambizioni e la cui immagine di sé sta agonizzando a Gaza. L’orologio della storia fa tic tac, ma nessuno ci fa caso.
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