Lo stato di salute e disorientamento in cui versano i partiti politici, più volte oggetto di esamina critica di militanti, iscritti, elettori, cittadinanza, pubblica opinione, pare non consentire in tempi brevi aggregazioni consapevoli su progetti significativi di riforme strutturali condivise attraenti, che conducano politica e partiti sui binari costituzionali previsti dall’art.49 della Carta.

Le richieste che la società civile pone alla politica sono radicalmente mutate, mentre la rappresentanza è rimasta, paradossalmente, in condizione di grande disagio di fronte alla richiesta di forti cambiamenti provenienti da molteplici settori della società, sino al punto da rendere la parola “cambiamento” ripetitiva, vuota e priva di senso subendo nel tempo una sostituzione di significato. Il linguaggio non è neutrale, è strumento di egemonia, orienta stili di vita, senso comune ad interagire dentro il solco del pensiero dominante, per cui il significato della parola “cambiamento” muta nel termine “discontinuità” nella versione di gioco politico sterile verso un futuro indefinito di modernità, senza modernizzazione sociale, in cui tutto

viene fondato su generiche promesse di rotture degli assetti sociopolitici precedenti, senza far seguire alcuna assunzione di responsabilità, nessuna ricostruzione, anzi ci si adatta con letture ottimistiche su realtà interpretate con l’errata idea che l’oggi è meglio di ieri che domani sarà sempre meglio di oggi.

Tutto ciò mostra, l’evidente pretesa, dei partiti, a voler cambiare la realtà sociale e società, senza un parallelo cambiamento del modo di pensare, di vivere ed agire delle persone che compongono e formano la realtà sociale, la società che si vuole cambiare, senza conoscenza della realtà umana, senza sapere cosa le persone chiedono e si aspettano.

Per altri versi, si cerca il consenso sulla personalizzazione e spettacolarizzazione della politica, fatta di immagini, opinioni superficiali, sondaggi facilmente manipolabili, piuttosto che nella esperienza, competenza, nei rapporti ravvicinati con cittadinanza e problemi reali.

Al contrario, il cambiamento è spingersi oltre la liquida superficie elettoralistica per il ricongiungimento con la ragione politica, dove le idee si formano nel confronto dialettico con territori e cittadinanza e trovano pieno compimento spinte dalla volontà.

Al Sud, come in Basilicata, i problemi sono ampliati dalla mancanza di adeguate classi dirigenti modernizzanti la sfera politica, sociale, culturale, capaci di guardare lontano, oltre il quotidiano, al di là del ciclo elettorale.

Da ciò ne consegue una diffusa sfiducia sistemica, in cui per più giovani la Basilicata non è un luogo dove sia possibile costruire futuro, dove le persone sono sfiduciate perché vivono in un contesto “sfiduciante”, pervaso da reti sociali vischiose, particolaristiche, clientelari, intrecciate con oscure presenze agenti nei filamenti istituzionali, apparati statali e para statali, connesse a consorterie occulte e palesi, ad attività irregolari e illegali.

L’istituzione regionale è il soggetto titolato alla programmazione, coesione e sviluppo integrato territoriale sostenuto dal pensiero lungo, in cui visione ideale e prospettiva politica si fondono invogliando le migliori energie creative ad operare immaginando il futuro in un mondo migliore del presente.

Al contrario, si assiste ad un agire politico confuso e farraginoso, esclusivo, spesso isterico, ripiegato sul presente che la fa da padrona con una cronaca provinciale trascurando del tutto elaborazione teorica, prassi politica, istanze territoriali, aspettative dei cittadini condannati a languire tra sofferenze mai sopite.

Pare di vivere in un contesto completamente capovolto, in cui tutto è difforme dai principi e metodi di una corretta cultura politica, si ignorano i danni provocati da quei paurosi varchi creati, in cui si insinuano inquietanti anomalie democratiche e costituzionali, tra cui spicca un modello di rappresentanza politica istituzionale autoreferenziale, mediocre,  escludente, che non stimolando le aggregazioni sociali periferiche, restringe il campo  d’azione dei gruppi di lavoro politico di base, impedisce ogni possibilità partecipativa e di vita politica attiva.

Una deputazione regionale rinchiusa in se stessa non può fare altro che consolidarsi in “casta” privilegiata, che sempre più si allontana dalla realtà sminuendo la militanza a sterile manovalanza cacciatrice di voti e tessere determinando modelli di politicantismo di ben nota memoria che non fanno più testo.

Questa discrepanza tra deputazione e base politico-elettorale genera un corto circuito in cui la politica si spegne, mentre si accendono burocrazie e lobby, allo scopo di delineare a loro misura e vantaggio, interessi, indirizzi, programmi, gestione di risorse nel vuoto di visione politica, strategica, ideale, e nel vacuo operare di una insipida rappresentanza slegata dalle dinamiche territoriali che irreparabilmente diviene “ceto politico” subalterno e conservatore del proprio status.

Se I partiti devono svolgere la funzione di controllo dei governati sui governanti e poiché i candidati si presentano all’interno di liste di partito votate dai territori, è consequenziale prevedere una rottura di fiducia tra il candidato eletto e quel partito che lo ha proposto estendendosi, poi, agli elettori che lo hanno votato, che non votando più il partito di cui fa parte alimentano la sfiducia nella politica, nelle istituzioni, nella democrazia.

In fondo, i partiti essendo l’entità con cui gli elettori si identificano, sono colpevolmente manchevoli dello svolgere la loro funzione costituzionale di socializzazione dei cittadini, del rapporto con le articolazioni dei corpi sociali intermedi, di stimolo alla cittadinanza attiva, di selezione di pubbliche classi dirigenti.

Oggi, l’attualità politica ci presenta un modello di partito politico più vicino al concetto di Max Weber che ai principi della Costituzione.

“Per partiti si debbono intendere le associazioni costituite al fine di attribuire ai propri capi una posizione di potenza all’interno di un gruppo sociale e ai propri militanti attivi possibilità per il perseguimento di fini oggettivi e/o per il perseguimento di vantaggi personali”. (Max Weber)

Art. 49 Costituzione Italiana: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale [cfr. artt. 18, 98 c. 3, XII c. 1].”

Le competizioni politiche ed elettorali, ormai sono declassate a meri aspetti di decadente concorrenzialità tra “ceti politici” e a all’interno degli stessi, dove i programmi presentati ai cittadini elettori valgono meno della carta straccia, tant’è che voci sbiadite di parole come “cambiamento” assumono l’occulto significato di “sostituzione”, nel senso proprio del “togliti tu che mi ci metto io” e che ogni promessa elettorale altro non è un che il perpetuarsi della famosa frase che giganteggia nel romanzo il “Gattopardo”, dove il giovane Tancredi, volendosi candidare alla prima elezione del parlamento italiano, spiega all’anziano Principe di Salina, che, se si vuole mantenere la posizione di potere e privilegio che quel titolo nobiliare gli garantiva nel vecchio Regno delle Due Sicilie, occorre ottenere una posizione simile secondo il nuovo ordinamento istituzionale portato dai Savoia.

Quindi, la famosa frase:” Se vogliamo che tutto rimanga com’è (cioè: se vogliamo continuare serenamente la nostra vita come finora l’abbiamo vissuta), bisogna che tutto cambi” (cioè: bisogna che cambiamo la nostra vita secondo i nuovi schemi istituzionali).

E questo è un po’ il senso che si dà alla frase, comunque ripetuta ed anche anagrammata, nel linguaggio comune, Se si vuole mantenere una posizione, occorre adattarsi ai mutati modi di ottenerla.

Un concetto, questo, già diffuso nella cultura europea di metà ottocento influenzata dalla rivista del giornalista francese J.B. Alphonse Karr che nella sua rivista “Les Guêpes” (Le Vespe), riportava l’epigramma “plus ça change, plus c’est la même chose” (più si cambia più è la stessa cosa.

Tutto ciò a sottolineare che un vero cambiamento sia possibile disponendo di classi dirigenti capaci, libere, coese, fedeli alla propria terra, mai subalterne a poteri interni ed esterni più o meno forti.

Da qui l’esigenza di costruire nuove élites organiche a nazione, regione, territori, comunità, consapevoli del proprio ruolo di guida del complesso processo di sviluppo economico da connettere al progresso sociale e civile.

Oggi c’è estremo bisogno di gruppi dirigenti preparati in grado di analizzare la realtà, comprendere quale sia la posta in gioco, proporre progettualità culturali prima che politiche e sociali, in modo che la Storia sia maestra di conoscenza, di esperienza, di studio degli delle contraddizioni distinguendo tra quelle principali e non, definendo le opportune alleanze, strategie e tattiche costruendo blocchi sociali di riferimento attraverso innovative e adeguate linee politiche.

In Basilicata la storia recente e passata del centrosinistra ha mostrato che, esso,  non è solo un blocco politico elettorale, ma è una sorta di ramificazione sociale, presenza culturale, rete assistenziale che diviene soggetto politico nel momento in cui si fa Stato, nel senso che, quando la sua azione nella società lucana viene percepita dal senso comune come titolare della stabilità di sistema, nel rapporto con diritto, giustizia, sanità, scuola e  garante di relazioni economiche, professionali e sevizi.

Su tali basi la sua opera si accresce e si giustifica attraverso stabili e proficue filiere con le gerarchie ecclesiastiche e opere di carità.

Inoltre, con l’esercizio di una solida egemonia culturale, l’uso delle istituzioni pubbliche, il legame con i corpi sociali intermedi, centri di potere, fanno sì che si determinino organigrammi, influencer, burocrazie e altri alimentatori del dinamismo del sistema di potere.

Le radici di tale sistema vengono da lontano, ben visibili dall’alternarsi di corsi e ricorsi storici, in cui si distinguono, tra continuità e discontinuità, i vari passaggi dal sistema borbonico all’Italia post-risorgimentale, dal periodo liberale a quello fascista, dal ciclo democristiano al Pdl-Pd, per finire al partito unico social-liberista euronazionale.

La storia insegna che, i liberali in partenza rivoluzionari contro il vecchio regime borbonico in seguito degni sostituti, il fascismo nato guardando al risorgimento, poi sostituitosi ai liberali, la dc nata sulla dottrina sociale cristiana, poi trasfigurata nel partito Stato, i comunisti da anima della resistenza a completamento del risorgimento, a blocco socio-politico consociativo, e oggi, democristiani, comunisti, liberali, pdl, pd, tutti insieme appassionatamente nel governo dell’euro-finanza.

I ricorsi storici permettono di cogliere le ragioni profonde delle grandi svolte politiche, delle cause determinanti i regimi autoritari, siano, essi, sistemi bloccati, oligarchie, governi del malaffare, diversamente rigidi, i cui nessi attengono ai cicli del post-risorgimento, primo e secondo dopoguerra, mani pulite, berlusconismo prodiano, pre-pandemia e, l’odierno covid-cycle.

Attualmente il governo euro-commissariato cosiddetto di unità nazionale pilotando gli effetti della pandemia svilisce Costituzione e democrazia rompendo l’unità nazionale, devastando il diritto al lavoro, distruggendo l’impresa, impoverendo la nazione, affossando il sud del paese, riducendo spazi di libertà.

A tal punto, sorge spontanea la domanda: “Chi si oppone a tale diabolico programma? Cosa cela questa politica repressiva? Forse fa intravvedere un progetto autoritario?

Abbiamo, sin qui, preso atto degli scarsi margini di opposizione civile nel Paese, a causa di molteplici fattori, tra cui spiccano paure individuali e psicosi collettive prodotte da campagne pubblicitarie terroristiche guidate dal governo attraverso i mass-media, sostenute da partiti filo governativi, apparati coercitivi statali, da quasi la totalità di stampa e tv, con la complicità dei gruppi intermedi di rappresentanza sindacale e di categoria, ordini professionali e con il tacito assenso diretto o indiretto delle istituzioni di controllo pubblico e giudiziario.

L’originalità di questo periodo storico rispetto alle crisi del passato è contrassegnato dall’uso “scientifico” del terrore sanitario che ha superato il vecchio classico “golpe” autoritario, in quanto le condizioni oggettive non richiedevano più il fronteggiare una ipotetica crisi rivoluzionaria, ma bensì al cospetto di società a democrazia avanzata seppur geopoliticamente e militarmente controllata.

C’è da cogliere anche un’altra novità storica rivelatrice dell’esistenza di una democrazia di copertura, ovvero, che l’intera articolazione democratica costruita negli anni a garanzia  della democrazia repubblicana e a sostegno della società aperta, improvvisamente, tutti i suoi soggetti, strutture e gangli, all’unisono, hanno rinchiuso la società, come la perla in un’ostrica, in una bolgia repressiva inimmaginabile, con l’uso di movimenti simultanei ben congegnati da élites globaliste, orchestrati dal un governo ad essi subalterno, che eseguiti orizzontalmente hanno indebolito il tessuto democratico del Paese abbandonando individui, ceti sociali, militanti politici senza riferimenti e sostegni.

Tutto ciò è la riprova storica che la democrazia non è un fenomeno statico, una conquista definitivamente acquisita, essa, al contrario, può evolversi come arretrare, certo, incidono notevolmente influenze geopolitiche, potere finanziario e religioso, ma rimane sempre valida la verità storica che la libertà è conquista, difesa e riconquista che misurano coscienze, sangue e dure lotte dei popoli nei secoli del percorso dell’umanità.

Il ruolo dell’opposizione è fondamentale per l’esercizio di una democrazia, quando chi si oppone incontra difficoltà, intralci, limitazioni, condotte da governo e Stato utilizzando stati di emergenza o d’eccezione vengono meno i postulati della democrazia.

Difatti, da un’attenta disamina sulla formazione politica di Fdi, unico partito d’opposizione al governo Draghi, presente in parlamento, nel territorio nazionale, nelle istituzioni, risulta stentare ad esprimersi compiutamente nelle sue funzioni di controllo e di contrasto al governo della pandepolitica”.

Le cause di tale situazione non sono certo ascrivibili ai limiti numerici del gruppo parlamentare che è pari a circa il 4% del corpo elettorale, ma vanno ricercate nelle azioni del governo che di fatto ha esautorato il parlamento forzando oltre i limiti consentiti la Costituzione repubblicana, nelle operazioni a tenaglia condotte dai suoi alleati di centrodestra che ne hanno determinato con l’isolamento politico ogni possibilità di mobilitazione sociale, in sintonia con la regia sottile o palese del Presidente della Repubblica propiziatore e autore dello stesso governo.

La tenuta di una democrazia si misura dalla qualità delle opposizioni e non dalla forza delle maggioranze, per cui essendo la nazione manchevole di queste fondamenta, la democrazia italiana scivola perigliosamente verso un sistema autoritario di tipo oligarchico-finanziario.

Va dato atto alla presidente Meloni di aver coraggiosamente denunciato tale involuzione democratica insieme alle storture costituzionali prodotte dal governo in carica e tenacemente sanzionato la stessa coalizione di centro-destra ritenendola, ormai, un’alleanza da “rifondare”.

L’uso del verbo rifondare è un termine forte che si contrappone a ricostruire, il cui significato è riprendere un rapporto su nuove basi, che presuppone un precedente di “insuccesso”, nel senso di riconoscimento del fallimento dei proprî sforzi e dell’impossibilità di proseguire per il raggiungimento degli scopi fissati da una rinunciataria coalizione.

A tal proposito, al fine di onorare fermezza, chiarezza di idee e propositi, è bene citare il sommo poeta: “Sovra ’l cener che d’Attila rimase” (Dante)

Per cascata, la questione posta dalla Meloni si trasferisce nelle periferie, sul che fare?

In Basilicata, dove, come riportato dalla stampa,  pare che nelle stanze romane sia stato siglato l’accordo per il via al nuovo “rimpasto” della Giunta regionale di centro-destra, poi notizie a singhiozzo, rettifiche, riproposizione, di una comunicazione confusa e superficiale dai risvolti contorti che fanno immaginare, durante la lunga, sofferta verifica di maggioranza di centrodestra, che il dibattito politico, non pare proprio abbia minimamente sfiorato il tema posto dalla Meloni, semmai, piuttosto è parsa ai più, una sfilata con sfoggio para folkloristico di costumi tipici del trasformismo meridionale arricchito con pseudo addobbi coreografici che descrivono cordate affaccendate su scranni da occupare, incarichi da assegnare, nomine da acquisire, piuttosto che avvicinarle alla cittadinanza lucana.

È bene rammentare che, il centro-destra vinse le elezioni regionali sull’onda della promessa fatta ai lucani di un profondo cambiamento in discontinuità con il centrosinistra ed il suo sistema di potere.

Ora i lucani, probabilmente, si staranno chiedendo se:

  1. a) tra imitazione farlocca e originale sia preferibile prediligere l’originale.
  2. a) tra rimpasto e rifondazione quali siano e se ci siano delle differenze.
  3. c) tra Potenza e Roma, al cospetto della dinamica e condotta sulla crisi regionale, quale concetto si sia fatto la Meloni sul centrodestra lucano.

Renato Cittadini – già Consigliere Regionale

Di BasNews

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