Da tempo, certamente da più di un decennio non si vedeva una piazza San Giovanni così piena, magari non 300 mila persone come è stato detto, ma insomma un sacco di gente, come ho potuto constatare di persona, abitando proprio in zona. E tuttavia in mezzo a tanta folla, c’era un enorme vuoto incolmabile: un anno e mezzo durante il quale la protesta per il genocidio di Gaza non è riuscita ad andare oltre la distrazione dei social e qualche piccola protesta. La censura e l’auto censura, le ambiguità e le punizioni contro quelli che osavano manifestare contro le malefatte del governo Netanyahu – il che è considerato tout court come antisemitismo – hanno sconsigliato qualsiasi manifestazione di massa mentre le vittime crescevano a un ritmo molto più alto delle cifre ufficiali, si affamavano le persone, si bombardavano gli ospedali, si massacravano bambini e si assisteva a un’operazione di pulizia etnica compiuta in modo orribile e alla luce del sole. Come fosse un reality in questo Occidente dove fantasia e realtà si mescolano in maniera inestricabile.

Poi improvvisamente, circa un mese fa, la corrente mainstream è mutata, per ragioni che scopriremo tra qualche tempo, ma probabilmente volte a sostituire Netanyahu con qualcuno di più ragionevole per cercare di porre fine a una situazione che sta causando il crollo etico dell’Occidente. È cambiato il tono dell’informazione mainstream, persino i governi che il giorno prima non sopportavano che si esponesse la bandiera palestinese, ora fanno capire di non voler più mandare armi a Israele. Non appena colà dove si puote, ha dato il via libera, ecco improvvisa e tardiva la manifestazione. La quale peraltro ha avuto l’effetto catartico che ci si aspetta dagli spettatori di una tragedia: quella di sedare ogni domanda e di soddisfare un desiderio di partecipazione, senza nemmeno accorgersi che essa è fortemente condizionata dall’alto e dalle parole d’ordine che vengono lanciate e finanziate per condizionare il discorso pubblico. Potremmo alludere, tanto per fare un esempio quasi di giornata, al report riassunto da Thomas Fazi sui milioni se non miliardi passati da Bruxelles al sistema dei media per dare un’immagine favorevole della Ue o quelli per finanziare sistemi di censura, ma potremmo anche riferirci all’ “ipocrisia democratica” dipinta da Leonard Mazzone in Ipocrisia. Storia e critica del più socievole dei vizi, il quale sostiene che essa glissa costantemente sulla palese esistenza di uno scarto tra politiche adottate e ideali professati per giustificarle. E rende ancora possibile nascondere la “falsa coscienza illuminata” e il cinismo che secondo Peter Sloterdijk contraddistingue il carattere fittizio dei proclami idealistici del potere.

Insomma viviamo in una società ipocrita, dove questa “qualità” che corrisponde alla volpe di Machiavelli non consiste nel non dire ciò che si pensa, ma nel pensare ciò che si dice nel discorso pubblico generale o in singoli ambienti. La deviazione dall’etichetta è causa di ostracismo perché non c’è nulla di peggio che indicare l’ovvio quando l’ipocrisia strutturale prende piede. Si presenta insomma come qualcosa che prende le forme dell’auto inganno e si risolve nel nascondere a se stessi la propria incoerenza. Questo era il ruolo che Marx attribuiva alle ideologie, Freud all’inconscio o Nietzsche alla malafede. Ma la finisco qui perché altrimenti dovrei parlare dei referendum dove nelle prime quattro domande si mette una qualche minima pezza alla deregolamentazione del mercato del lavoro e alla distruzione dell’Articolo 18 fatta dal Jobs Act e dunque da un governo, forte di un consenso di base del sindacato, che raccoglieva grosso modo la stessa area di chi vota incondizionatamente sì. Sono passati dieci anni di totale silenzio sull’assurda promessa che una castrazione di diritti avrebbe portato a un aumento dell’occupazione. Ora le stesse forze propongono qualche correzione (che comunque non passerà in Parlamento, su questo posso scommettere qualsiasi cifra, esattamente come è avvenuto per il referendum sull’acqua pubblica) come specchietto per le allodole in modo da far votare il quinto referendum, l’unico che conti davvero. In un certo senso tutti lo intuiscono perfettamente, ma fingono di non saperlo perché dopotutto non sarebbe spiegabile un decennio di silenzio e di assenza di lotta su questi temi con un improvviso dietrofront. Non sarebbe spiegabile né per i vertici che conducono i giochi, né per la base che subisce senza averne la sensazione.

Forse non tutto è perduto, ma la notte è ancora lunga. Stiamo ancora agitandoci nel sonno.

fonte:

Di basnews

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