Non ce l’hanno fatta: i despoti della Ue non sono riusciti a risolvere la questione romena. Prima hanno fatto carte false per invalidare le elezioni del 24 novembre scorso perché il candidato in testa al primo turno era stato, a sorpresa, Calin Geogescu, fautore della pace con la Russia, nonché critico sia verso la Nato, sia verso la Ue, accusata di trascurare gli interessi della Romania, soprattutto per quanto riguarda le politiche agricole. Poi visto che rimaneva in testa nei sondaggi per le nuove elezioni sostitutive lo hanno messo agli arresti domiciliari impedendogli di fare campagna elettorale e in seguito lo hanno escluso dalla competizione per maggiore sicurezza. Ma ieri questo castello di corruzione e malaffare politico è crollato: il candidato scelto dal partito di Georgescu per sostituirlo, George-Nicolae Simion, ha sbaragliato gli altri quattro concorrenti arrivando al 41 per cento, il doppio dell’avversario più vicino. Nella cartina in apertura del post potete vedere in arancione le aree del Paese in cui è risultato vincitore: dovunque a parte Bucarest e Cluj, ovvero le roccaforti “woke” dove hanno prevalso i suoi avversari.
La vittoria di Simion è maturata non soltanto nell’indignazione per l’annullamento delle elezioni, ma anche in un colpo strategico da maestro: nel dibattito televisivo fra i candidati per la presidenza del Paese, si è presentato ribadendo l’illegalità dell’annullamento delle elezioni originali e sostenendo che al suo posto avrebbe dovuto esserci Georgescu. “Il modo in cui la democrazia è stata calpestata è stato orribile. Così per rispetto della democrazia e del popolo romeno, non posso prendere parte a questo dibattito elettorale e sarò dall’altra parte del Paese con i romeni, con la nazione romena e per il popolo romeno. Grazie mille e buona serata”. È stata questa la mossa che ha determinato la sua schiacciante vittoria di ieri.
Ora bisogna attendersi il disperato tentativo di Bruxelles per impedirgli di vincere il secondo turno, dopo il quale il presidente Simion nominerà probabilmente Georgescu come primo ministro. Verranno usati tutti i mezzi per impedire la defezione della Romania dalla politica guerrafondaia della Ue, anche perché, assieme a Ungheria e Slovacchia, si comincerebbe a formare un consistente asse del no al bellicismo di Bruxelles, agli affari dei fabbricanti armi, alle scelerate politiche agricole condotte con il pretesto del Net Zero e tutto diventerebbe più difficile per la von der Leyen e la sua banda criminale. In ogni caso la Romania era uno dei Paesi su cui le oligarchie della guerra contavano per proseguire ad oltranza il conflitto con la Russia e una sua uscita di scena da tale scenario, è un colpo non da poco.
Nella vicenda entra, sia pure di striscio, la detenzione di Reiner Fuellmich, un avvocato tedesco di fama internazionale le cui cause in difesa dei consumatori contro colossi aziendali come Volkswagen, Kühne & Nagel e Deutsche Bank, sono state dei punti di riferimento. Ma ha commesso l’errore di creare il Comitato investigativo sul Coronavirus, il cui scopo era quello di far luce sulle azioni dei governi, delle istituzioni pubbliche e della comunità medica nel contesto della cosiddetta “pandemia. È stato arrestato con un pretesto, peraltro caduto e sostituito con un altro che normalmente in Germania comporta soltanto una sanzione ed è in galera da oltre un anno. Le tesi sue e dei suoi avvocati sono state silenziate perché le argomentazioni non vengano conosciute e non turbino le coscienze. Si tratta dell’esempio più eclatante di caduta dello stato di diritto. Caso singolare, Georgescu al tempo in cui si preparavano le elezioni poi annullate, aveva più volte parlato della ingiusta detenzione di quello che oggi è un vero prigioniero politico e in una vicenda, quella pandemica, in cui entra direttamente la von der Leyen con le sue trattative private sui vaccini. Certo è un argomento molto marginale, ma l’impressione è che ogni anello della catena di presa di potere delle oligarchie, che ha trovato nella pandemia il suo fulcro o, quantomeno, il suo inizio, viene accanitamente difeso come se un cedimento in qualunque parte possa portare a un crollo generale.
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