Un uomo giace su una distesa di neve infinita appena delimitata in lontananza da una foresta di abeti e nel turbinio dei fiocchi si scorge qualche macchia di sangue accanto a lui che spessa la monotonia del bianco accecante. Poi mentre scorrono i titoli si vede un’auto della polizia svedese che arriva facendosi strada nella neve e si ferma il più vicino possibile al cadavere: ci si immagina di vedere scendere qualche insulso biondino tipico di quel luogo ai confini del mondo  e invece, ecco la sorpresona:  il capo della polizia della zona è una donna nera, ovvero quanto di più improbabile si possa immaginare al mondo. Essendo una produzione Netflix non stupisce che vengano utilizzati i normali stereotipi americani anche quando il contesto li fa apparire grotteschi. Questo è un tipico esempio del razzismo 2.0  che non denigra o disprezza apertamente chi ha la pelle o il taglio degli occhi diverso, ma lo fa creando una bolla artificiale in cui queste persone raggiungono livelli quasi impossibili per gente che è quasi sempre socialmente abbandonata e non ha letteralmente i mezzi per spezzare la propria marginalità.  Questo nei film, ma anche nella realtà, il che naturalmente non soltanto non risolve i problemi, ma li aggrava come sempre accade quando all’improvviso da una sistema generale che lavora ad excludendum  si passa ad uno che funziona sulla base di un pregiudizio positivo con il sottinteso che occorre abbassare l’asticella per permettere a questi “inferiori” di competere: invertendo i fattori il prodotto non cambia. Ciò che in un primo momento può sembrare un giusto risarcimento per la precedente discriminazione diventa una ragione di ulteriore degrado ed esime il potere dal mettere mano a un vasto piano di riforme sociali che sono le uniche in grado di risolvere davvero il problema.

L’ultima nuova di questo razzismo  dall’aspetto benevolo nato nel Paese più razzista del mondo, ovvero gli Usa, è l’incidente a cui è andato incontro un giornale tra i più “svegli” che si possano immaginare, ovvero il Washington Post, così sveglio che persino la ragione è andata in coma: il quotidiano aveva  aveva ospitato un editoriale nel quale si lamentava la mancanza di giocatori di colore nella nazionale di calcio argentina, un vero scandalo per chi è abituato a considerare i neri ” carne da sport” . Ma la valanga di insulti che è arrivata dall’Argentina, ha costretto il giornale a ritirare l’articolo adducendo a pretesto non la stolidità con cui vengono portati avanti i pregiudizi positivi, anche in un contesto insensato, ma un incidente statistico. Il pezzo infatti era basato sul fatto che l’un per cento della popolazione argentina è formato da persone di colore e dunque avrebbe dovuto esserci qualche nero in squadra. Qui può essere misurata tutta l’idiozia di questi pseudo ragionamenti: una squadra di calcio è formata da 11 persone, 22 se se ci si mette anche la panchina, ma per dire che c’è una vena di razzismo nelle scelte dei calciatori il totale di una squadra dovrebbe essere di almeno 100 persone. Potremmo anche lasciar perdere queste ovvietà statistiche se non fosse che tutto il senso dell’editoriale giocava su quell’ un per cento di gente di colore, un dato volgarmente contraffatto per dare modo di scrivere un pezzo  scriteriato che voleva essere di monito morale. In realtà in Argentina i neri sono molto di meno, lo 0,4 per cento. E ha ragione chi ha scritto: “In Argentina i calciatori sono bianchi perché è un Paese reale non un film della Disney”. 

Il Washington Post ha giustificato il ritiro dell’articolo proprio per il  sedicente “errore” che aveva portato il giornale a formulare un sottotitolo di questo genere:  “L’Argentina è molto più diversificata di quanto molte persone credano, ma il mito che sia una nazione bianca è persistito”. Se si scrivono queste cose bisogna che almeno ci si sia informati abbastanza da apprendere che il 90 per cento della popolazione di quel Paese è di origine spagnola e italiana più una piccola percentuale di tedeschi, un altro 7 per cento è formato da mestizos ovvero da incroci fra gli europei e gli amerindi, un 2,4 per cento di amerindi e ciò che rimane è diviso tra asiatici e neri. Dunque l’Argentina è molto più bianca di quanto non sia nero il Sudafrica. Ma poiché questa semplice constatazione è ormai proibita allora si cerca di alterare in qualche modo la realtà e di trovare appigli per diffondere le ossessioni di un Paese che si è fondato sullo sterminio dei nativi, su forme di schiavismo tra le più terribili e infine sull’apartheid sistematico, non dei soli neri, ma per molto tempo anche di chiunque fosse nato al di sotto del 50° parallelo. Francamente non se ne può più di queste lezioncine da quattro soldi, di queste futili psicosi che si rincorrono, della densa ipocrisia che vorrebbero imporre a tutti e in primis ai Paesi che mostrano, come ha fatto l’Argentina, di voler prendere il largo dal Washington consensus. Questo articolo non è che un effimero e stupido aspetto della vendetta Usa per l’intenzione espressa da Buenos Aires di far parte della nuova alleanza economica dei Brics allargati e di certo non è la cosa peggiore che gli Usa stanno facendo per impedire all’Argentina di sfuggire alle proprie grinfie.

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