E alla fine, seppur con alcuni dubbi, sono andato ai seggi, ho ritirato le schede, e le ho addirittura votate.

Nessun dubbio avevo, ed ho, nel merito che riguarda i 4 quesiti posti sul tema lavoro.

Credo soltanto un cieco sordo possa affermare di non aver visto e sentito cosa sia successo nel mondo del lavoro a partire dai primi anni novanta fino ad oggi : contratti precari, flessibilità, liberalizzazioni, licenziamenti. Ad opera, badate bene, dei vari governi sotto tutela europea che si sono succeduti alla presunta guida del nostro paese. Non si afferma una idiozia ad  affermare che i goverrni cosiddetti di centrosinistra e “tecnici”, appoggiati dalla medesima coalizione con minimi distinguo temporanei, siano stati addirittura più attenti a certi dettami, nel promulgare leggi e sottoscrivere accordi e contratti tesi a rendere strutturali riforme liberalizzatrici e flessibilizzanti il mercato del lavoro, di fatto precarizzandolo di anno in anno sempre un po’ di più.

E’ per tali motivi che parlo esclusivamenti di merito dei quesiti. Se avessi fatto una scelta ragionando maggiormente sui proponenti, con tutto ciò che hanno rappresentato (o anche per quello che viceversa non hanno più rappresentato, i sindacati soprattutto), forse potevo optare per altre opzioni. E allora ho deciso ascoltando soltanto la mia coscienza di cittadino e di lavoratore, come se le urne fossero sbarcate magicamente dentro le nostre scuole.

Da giorni però, pongo l’attenzione sulla questione numerica e di percentuale sul quorum. Se da anni in Italia, in tutte le competizioni elettorali, la percentuale di voto, tra le altre cose in costante calo, si attesta sul 65/70% circa (prendiamo per adesso il dato per buono) con variazioni in alto o in basso a seconda del tipo di elezioni (comunali, regionali, politiche, europee, referendarie…), mi chiedo, che senso ha avere ancora il quorum validante al 50% +1 della intera popolazione italiana? La domanda, la dico meglio, è: “Cui prodest?

Sarebbe giusto, conseguentemente, calcolare il 50%, ma sulla media, per esempio, di un congruo numero delle ultime cinque, sette, votazioni…

Perché così come stanno le cose, diventa troppo facile per i contrari al cambiamento (solitamente penso a quelli che una volta chiamavamo “i padroni del vapore”, oggi semplicemente il sistema capitalistico) far fallire di volta in volta i referendum, potendo partire da +30% (cioè gli abituè dell’astensione): è come se in una ipotetica gara sui 100 metri, la metà dei concorrenti potesse partire 30 metri più avanti: pensate non vincerebbero a mani basse?

Ecco, su questo dovremmo aprire un dibattito. Ciò rappresenterebbe un reale cambiamento di prospettiva, se non si voglia prendere in considerazione la Svizzera, dove ad esempio i referendum non hanno nessun quorum validante. Decidono coloro che prendono una posizione, recandosi alle urne. Il tutto, indipendentemente dal  numero di firme necessarie all’indizione dei referendum stessi.

Argomento diverso, ma con analogie del precedente, la manifestazione di sabato  7 giugno, ad opera del cosiddetto “campo largo”. Se dovessimo giudicare piè pari chi ha promosso cosa, quasi del tutto silenti nei precedenti 20 mesi, successivi al 7 ottobre, con 60mila morti, 20mila dei quali bambini, un territorio raso al suolo, con danni che avranno effetti per diverse generazioni, il minimo che avremmo dovuto urlare tutti quanti a questi signori sarebbe stato: “Ma dove siete stati tutto questo tempo? Avete forse riacquistato la vista e l’udito improvvisamente? Può il solo motto “meglio tardi che mai” bastare a far finta, almeno  per il sottoscritto, che non siano cambiati alcuni scenari internazionali, vedi il governo americano”?

Sembra passato un secolo da quando con poche decine di persone andavamo a Porta Pia sotto l’ambasciata inglese, allorchè alcuni di noi, evidentemente, avevano già intuito le reali intenzioni dello Stato di Israele, contro le popolazioni, senza Stato, palestinesi.

Purtroppo l’onestà intellettuale non sembra alloggiare nella stragrande maggioranza delle classi politiche di questo paese. Noi continueremo imperterriti ad alzare la nostra voce  contro le ambiguità, le nefandezze, i silenzi complici dell’Occidente intero.

Ancora oggi, oltretutto, molti dei proponenti la manifestazione, hanno timore a nominare le cose con il proprio nome. Sullo striscione di apertura, avrete notato, c’era scritto MASSACRO, non GENOCIDIO, una sottilissima differenza.

Fino a che non rivoluzioneremo in senso laico questo paese, e comprendo sia compito arduo, per ragioni storiche ed antropologiche, non ci sarà un reale cambiamento dello stato esistente. Ma è nostro compito, di tutti quelli provvisti di buona  volontà, provarci.

Antonello Colaiacomo

fonte:

Di basnews

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