I pagliacci che fanno gli indiani
Viviamo nell’epoca dei pagliacci che si esibiscono nell’arena e che vivono nell’intercapedine tra la buffoneria gratuita, lo sberleffo, qualche battuta e una realtà che sempre più si allontana da loro. C’è da dire che Trump in questo è un vero maestro, una specie di Larible che riesce a convincere il pubblico della sua grandezza e anche del fatto che il suo non sia narcisismo patologico, ma lavoro per la nazione. Peccato che dica cose del tutto contrastanti durante una sola conversazione, che sia così terribilmente americano e che con l’aiuto dei media embedded occidentali riesca a mettere a segno delle vere e proprie truffe informative. Giorni fa ad esempio, in non ricordo più quale intervista, si era vantato di aver sottomesso l’India costringendola a non comprare più petrolio russo attraverso la minaccia dei dazi e di averla indotta a comprare petrolio dagli Usa. Insomma Donald l’indiano, il vincitore assoluto di questa battaglia.
E naturalmente ai giornaloni come alle televisioni, insomma al complesso dei media occidentali, non è sembrato vero di poter celebrare questa grande vittoria. Ci vorrebbe uno psicanalista, ma proprio di quelli bravi, per capire come sia possibile che le vittime di questo strumento daziario che sono nell’ordine gli europei e i cittadini americani che subiranno pesanti impennate di prezzi, possano compiacersi di tutto questo e del pagliaccio nell’arena che strepita e fa scoppiare i mortaretti. Peccato che dopo tante vanterie si è scoperto che non è vero assolutamente nulla: a risvegliare dal delirio l’Occidente collettivo è arrivata una nota del governo di Nuova Dehli in cui si dice che le notizie comparse su una presunta volontà indiana di rinunciare al petrolio russo, sono da destituire di ogni credibilità. L’India continuerà come prima a comprare l’oro nero di Mosca secondo i contratti energetici già approvati, facendo peraltro intendere il fastidio per questo tentativo di condizionare il Paese e di riassorbirlo dentro logiche coloniali. Del resto non ci voleva molto a capire che quella di Trump fosse una balla perché il differenziale di costo tra il petrolio russo di ottima qualità e quello americano da scisto, così pieno di impurità da non poter nemmeno essere trattato dalla maggior parte delle raffinerie europee, è tale da superare qualsiasi dazio.
Insomma viviamo in una specie di universo parallelo, dove la percezione della realtà anche più ovvia viene del tutto ostacolata: come accade negli stati psicotici sentiamo le voci e nel caso specifico quella di Trump, quando ben s’intende non è occupato a misurare il pene con la Russia per vedere chi l’ha più duro. Sì, la penosa faccenda dei sottomarini, inviati dopo le parole di Medvedev non è niente di diverso da questo. Eppure il Pentagono gli dice ogni giorno che ce l’ha più piccolo. Però lui non ci crede e cerca di tirarlo fuori ogni volta. Ma in realtà colleziona figure penose: aveva posto il limite di 50 giorni per le sanzioni indirette alla Russia perché sperava di essere invitato al vertice tra Putin e Xi che si sarebbe svolto proprio allo scadere dell’ultimatum, ma quando ha capito che non sarebbe stato invitato ha ridotto il periodo a 10 giorni. E ora chissà cos’altro s’inventerà per uscire dall’impasse quando si accorgerà che i suoi ruggiti alla Metro-Goldwyn-Mayer non solo sono assurdi, ma non impauriscono nessuno. Che il gioco funziona solo con gli amici che si prestano ad essere malmenati. Ma lui non è altro che una rappresentazione dell’America e dell’Occidente: non riesce a comprendere il degrado etico della orribile vicenda di Gaza e non riesce nemmeno a capire il senso della guerra in Ucraina: sembra non essersi accorto che la Russia è disposta ad arrivare fino in fondo, che non si tratta di un film in cui gli spettatori sgranocchiano popcorn.
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