Lo avete notato? I guerrafondai più accaniti sono quelli più strettamente legati ai poteri finanziari visibili e invisibili. Macron come sappiamo benissimo è un ex piccolo manager della banca d’affari Rothschild, il cancelliere tedesco Merz, che ha subito smentito la politica servile ma prudente di Scholz in merito alla guerra ucraina, è un uomo di BlackRock e i governi inglesi, sia laburisti che conservatori, sono da molto tempo, diciamo, da quasi due secoli ostaggio della City, volenti o nolenti. Non è certo un caso se la rivoluzione neoliberista sia partita proprio dalla Gran Bretagna con la signora Thatcher, che prese il potere nel 1975, ovvero due anni dopo che la scuola di Chicago si era affermata in Usa e aveva tessuto le giustificazioni ideologiche per il golpe cileno.

Dunque la presenza di uomini delle banche e della finanza tra i volenterosi della guerra non è affatto una coincidenza, anzi è la dimostrazione che chi oggi vuole la guerra sono proprio i centri finanziari internazionali. Per molti motivi assolutamente ovvi: il primo è il desiderio di mettere in crisi Stati concorrenti ed economie diverse da quella liberista che si stanno dimostrando più efficaci. Questo obiettivo ha due aspetti, quello di preservare un’ideologia ormai fallimentare e quello di far rimanere gli Usa, che in sostanza ne sono stati il motore e il garante, sul trono della unipolarità. Le altre ragioni vengono a cascata: la produzione e la vendita di armi in quantità che mai si sarebbe sperato e contemporaneamente la messa in mora definitiva delle democrazie, attraverso il pretesto della guerra, il controllo delle opinioni e lo stato di tensione continuo in cui vengono tenute le popolazioni. Una dimostrazione plastica di tutto ciò è il conferimento del premio Carlo Magno a Ursula magna magna, la quale nel discorso di ringraziamento ha promesso di aumentare la censura della Ue, proprio come se non vedesse l’ora di diventare imperatrice del medioevo prossimo venturo. Non si può immaginare niente di più stupido e irreale della premiata con scheletri nell’armadio più grandi dello stesso continente e dei premianti, un vero sinedrio di imbecilli che si sostengono l’un l’altro dentro un quadro di declino in rapida accelerazione.

C’è un intrinseco divario tra l’obiettivo principale, a sua volta diviso in due capitoli, come abbiamo visto e gli altri: il primo infatti può essere raggiunto solo con una vittoria che è già sfuggita e che non può essere recuperata se non attraverso una guerra nucleare, ossia attraverso una distruzione totale che comunque vede gli occidentali in svantaggio. Gli altri fini, molto più a portata di mano, richiedono invece solo che lo stato di guerra continui indefinitamente, ossia che la sconfitta finale sia rimandata nel tempo in maniera da poter fare affari e istituire un occhiuto controllo della popolazione impedendo qualsiasi espressione della volontà popolare. Ma ancora di più, tentando di portare a termine una rivoluzione antropologica che sfoci nell’apatia politica e culturale, ricoperta da uno sciroppo globalista che è moralistico e immorale insieme, come gli orrori di Gaza dimostrano appieno, ma che vediamo all’opera nel falso umanesimo a geometria variabile che si dispiega nelle cronache quotidiane.

Se Trump, la cui vanagloria è il carattere più visibile della sua personalità, sta perdendo l’occasione storica di essere il grande pacificatore, significa che non riesce a superare gli interessi compositi del feudalesimo finanziario tra cui il fatto, non da poco, che gran parte del settore manifatturiero rimasto in Usa è formato proprio dai grandi produttori di armi. Il piano Maga comincia proprio dalla guerra. La cosa più evidente è tuttavia un’altra, ovvero il carattere intrinseco delle oligarchie dominanti: esse controllano l’ Occidente, ma non riescono a costruire un’egemonia di tipo gramsciano, ossia non creano una vera cultura, piuttosto cercano di evirare quella precedente e si affidano alle varie forme di ipnosi per acquisire un consenso futile, debole, servile e meramente rituale come è magnificamente espresso dai responsori del politicamente corretto. Così c’è molto più autoritarismo di prima, ma al contempo c’è una profonda crisi di autorità e di progettualità che si esprime fra l’altro con la totale mediocrità dei milieu politici, vittime delle loro stesse narrazioni, a contatto con gli scenari di cartapesta dell’ideologia neoliberista, ma lontani da quella realtà che li sorprende sempre. Quindi non c’è nulla di strano se Trump non sia all’altezza del significato che ha avuto la sua elezione e non c’è da meravigliarsi se ora voglia continuare una guerra già persa sulla base di informazioni totalmente sbagliate che gli danno i suoi consiglieri: nulla è più tenace della catena delle illusioni. Il sistema bancario e finanziario ha tutto da guadagnare dalla guerra, come sempre, ma forse più di sempre perché una chiara sconfitta sarebbe soprattutto la sconfitta di un modello e di un sistema.

fonte:

Di basnews

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