L’Occidente sta rimodulando la narrativa sulla guerra ucraina per abbassare le aspettative sulla controffensiva di Kiev. Questo il senso di due articoli, pubblicati in rapida successione, dal Washington Post (“Gli alti funzionari ucraini temono che il contrattacco possa non essere all’altezza delle aspettative”) e dal New York Times (“Mentre Putin attende il suo momento, l’Ucraina è alle prese con un ticchettio” [dell’orologio]).

La nuova narrativa della guerra infinita

Nulla che non avessimo scritto in altre note, ma è necessario annotare il cambio di registro dei due più autorevoli media americani. Serve a evitare che una vittoria limitata di Kiev – che suonerebbe come una sconfitta – apra prospettive di pace. Serve cioè a far proseguire il conflitto.

Tale prospettiva è peraltro delineata nell’articolo del NYT, che riporta i commenti del ministro della Difesa ucraino Oleksiy Reznikov, secondo il quale “ogni successo in questo conflitto è una nuova tappa, un nuovo passo, sulla via della vittoria”, aggiungendo che la controffensiva sarà “solo una parte della storia” di questa guerra.

Non solo. Ancora il NYT: “La guerra si è già protratta per più di 14 mesi, è ciò rende più probabile che il conflitto si protragga per anni. Quando le guerre durano più di un anno, tendono a durare in media più di un decennio, ha rilevato il Center for Strategic and International Studies in un’analisi sui conflitti dal 1946″. Il Center suddetto è un organismo di tendenza neocon.

Così, dopo un anno nel quale i media hanno propagandato senza posa le falsità neocon che davano la resilienza ucraina sostenuta dalle magiche armi Nato come fattori di vittoria, sicura e prossima, sul degradato esercito russo, si cambia tutto.

E, ovviamente, anche la nuova narrativa è riportata senza porre o porsi domande, anzitutto se vale la pena far morire tanti ucraini e rischiare la terza guerra mondiale per un conflitto che si prospetta inutile ai fini del ritorno dell’Ucraina ai confini del passato, cosa a cui ormai non crede più nessuno.

Kissinger e il negoziato cinese

Se questa è la spinta dei neocon, per fortuna non tutto l’establishment Usa è tanto folle. L’ex segretario di Stato Henry Kissinger, ad esempio, In un’intervista alla CBS, ha affermato: “Ora che la Cina è entrata nel negoziato, penso che si arriverà a un compimento entro la fine dell’anno”. Entro tale scadenza, ha aggiunto, “parleremo di processi negoziali e persino di negoziati reali”.

Non solo Kissinger, tante le voci in controtendenza. A suo modo anche il Capo degli Stati Maggiori congiunti, generale Mark Milley, ha una posizione sfumata rispetto alle pulsioni neocon, come ha dimostrato in una recente intervista a Foreign Affaires nella quale, però, ha evitato accuratamente di ripetere l’implicito appello per l’inizio dei negoziati lanciato lo scorso febbraio, che gli attirò ire funeste.

Forse per questo si sta ventilando l’ipotesi di sostituirlo. Al suo posto dovrebbe arrivare un afroamericano, il generale Charles “CQ” Brown Jr. (Washington Post), la cui nomina sembra dovuta a una conoscenza più specifica del teatro Indo-pacifico, ormai chiave per il conflitto Usa-Cina. Ma il sospetto di cui sopra resta.

In attesa, l’improvvida decisione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen di visitare l’Ucraina il 9 maggio, data in cui la Russia celebra la vittoria sul nazismo.

Non sfugge la coincidenza simbolica, che vede un’autorità tedesca portare il supporto del suo Paese – e dell’Europa – alla lotta degli ucraini contro Mosca proprio in quella giorno. Una nefasta sfida simbolica della quale l’Europa avrebbe dovuto fare a meno. Ci torneremo.

fonte:

Di BasNews

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